Si potrebbe dire il pamphlet un’altra “consolazione
della filosofia”, se si può proporre un libro da banco, anzi da divulgazione,
con lunghi estratti in latino non tradotto - più le ovvie citazioni dal tedesco, non tradotto. Oppure no: si pubblica per
l’attualità, per un pubblico che non ha bisogno di leggere per convincersi –
non riga per riga, parola per parola? Magari giocando sul paradosso. Questo
libro è infatti sul “carattere manicomiale… proprio della credenza in Dio”. Per
dire l’ateismo “la più alta e più pura delle religioni”.
La lettura si potrebbe chiudere subito qui. Ma
l’argomentazione non è del tutto peregrina. A condizione di riuscire a superare,
magari per la simpatia che Sciascia professava per Rensi, la prima pagina. Di
una filosofia che si pretende di “sicurezza incrollabile e trionfale”, piena di
“ragione” e di “logica”, “sviluppata e civile”, “corretta”, di “precisione e
chiarezza”, di “inconcussa validità”, e “inamovibile certezza”, “un teorema di
geometria elementare”, di contro alle “allucinazioni”, la “pazzia”, “la
mentalità crepuscolare dei bambini e dei selvaggi” – cioè dei non pervertiti
dal levitismo? Più in là Rensi esagererà, facendo mettere a Kant la religione in una della sue Hirnngenspinster, chimere. L’“Apologia” chiudendo, quanto a manicomi, col rifiuto estetico: “L’estetica della credenza è tipicamente oleografica” - estestico intendendosi in senso epidermico.
Ma Rensi è meglio, anche di se stesso - di quello che
voleva essere. Nulla Rensi concede a Dio, nemmeno la religione. E questo è un
errore logico. Ma fine. L’esposizione della teologia negativa è più precisa e esauriente,
pur in poche pagine, 57-65, che divertente. E sant’Agostino demolisce, insieme
con Spinoza. Ancora meglio sgonfia i falsi Dio, opera della filosofia. Il Dio
impersonale del panteismo, Spinoza di nuovo, la natura naturans, l’impulso o ordine morale di Fichte, l’idea, o
intelligenza incosciente, di Schelling, Hegel, Hartmann.
Anche Kant ha il suo. Ma, s’indovina, nel dubbio. Rensi
è del resto uno specialista. In anticipo, nel 1925, sul freudiano “L’avvenire
di un’illusione”, sarà però autore successivamente di un “Le aporie della
religione” e di testamentarie “Lettere spirituali”. Da “scettico credente”
secondo Ernesto Bonaiuti – che lo assume, come pure farà Augusto Del Noce, a ricercatore
“disperato di Dio”.
Nicola Emery, che ripropone l’“Apologia”, non è
d’accordo. Ma cita in termini ambigui “la diplopia della formula finale del
«Testamento filosofico” dello stesso filosofo: “Atomi e Vuoto e il Divino in me”.
Dopo aver eccepito che “difendere l’ateismo per lui significa ipso facto anche «difendere» la
religione, disoccultarne l’essenza, ritrovarne l’origine”.
Emory salva Rensi come ermeneuta malgré soi, in anticipo, un precursore:
“La critica del feticismo idolatrico… si sviluppa anche come critica della verità alla lettera, e
porta alla pratica, plurale e pluralistica, dell’interpretazione”. Ma i primi ermeneuti sono in realtà i Padri della
chiesa, cioè i fondatori della chiesa. Che per questo è mobile. Il Dio laico di
Emory è il Dio cristiano romano, tolti i paramenti.
La questione Rensi sembra in realtà porre nei vecchi
termini massonici. Che dice: “Le religioni sono false se si materializzano i
loro dogmi, se si prendono questi in senso letterale, se ce ne formiamo dei
feticci; vere, se quei loro dogmi si intendono nel loro senso simbolico
profondo”. O Schiller, che Rensi cita all’ultima riga, prendendolo dalle
“Votivtafeln”, immagini votive: “Quale religione professo? Nessuna di tutte
quelle che tu nomini. E perché nessuna? Per religione.” Subito dopo aver stabilito, alla fine come già al principio della trattazione: “L’ateismo è la sola religione che bandisca completamente ogni egoismo”, ogni immoralismo, ogni assurdità. Ma la ragione è più
complessa della Ragione. Mentre l’Essere Rensi limita a “ciò che si può vedere,
toccare, percepire” – quest’ultima funzione limitando al vedere e toccare, seppure
in absentia.
Giuseppe
Rensi, Apologia dell’ateismo,
Castelvecchi, pp. 117 € 12
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