Italo
Calvino
– Adopera nelle “Fiabe popolari italiane”, 1956, la lingua di legno che paventa
dieci anni dopo nell’articolo-saggio “L’antilingua”, sul “Giorno” del 3
febbraio 1965 (ora in “Una pietra sopra): la lingua “falsa”, della burocrazia,
della tecnica, della specialistica, compreso il purismo linguistico: “Avvocati
e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di
giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell'antilingua.
Caratteristica principale dell'antilingua è quella che definirei il «terrore
semantico», cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso
un significato, come se «fiasco» «stufa» «carbone» fossero parole oscene, come
se «andare» «trovare» «sapere» indicassero azioni turpi” – si riferisce a un
verbale in commissariato in cui il brigadiere s’è fatto scrupolo di evitare
tutte le parole dirette. Le sue fiabe, trascrizioni o traduzioni, hano oggi un
sapore remoto perché Calvino usa parole artificiose, e quindi desuete: “viso”
per “faccia”, “egli”, “ella”, per “lui”, “lei”, “nocque” per danneggiò”,
“propizio” per “favorevole”, etc. Volva imitare il dettato fiabesco? Non
ottiene quell’effetto.
Camilleri
–
“Tengo sempre a dichiararmi uno scrittore italiano nato in Sicilia”, dichiara
Camilleri spesso, da ultimo in “La lingua batte dove il dente duole”, “e quando
leggo scrittore siciliano mi arrabbio
un poco, perché io sono uno scrittore italiano che fa uso di un dialetto che è
compreso dalla nazione italiana”. Non è vero. Cioè sì, il siciliano è un
dialetto italiano. Ma la “lingua” di Camilleri è ostica all’italiano non
siciliano (o calabrese): parenti, amici, conoscenti, grandi lettori, rifiutano
in massa Camilleri, specie se meridionali (non calabro-siculi). Lo hanno
rifiutato dopo un paio di tentativi di leggerlo, attratti dalle grandi vendite
e dai film di Alberto Sironi - un milanese.
Camilleri commercialmente non può essere
“siciliano”, l’isola è la regione d’Italia dove si legge meno – e le poche
librerie vanno chiudendo. E tuttavia lo è: è fenomeno “siciliani nel mondo”,
che sono una grande, numerosa, nazione. E attraversato lo Stretto leggono, per
sensi di colpa se non per nostalgia, sapendo di non voler tornare.
Dante
–
L’autorevolezza rinascente si lega alla complessità, che l’ermeneutica volentieri
erige a oscurità. “Rocciosa” dice la sua lingua Camilleri, in “La lingua batte”,
“difficile e piena di significati, di sotto-significati, di allusioni, di
rimandi”. Come se fosse impossibile, eccezionale, avere un poeta colto e
impegnato in politica.
Lo stesso Camilleri trova invece l’
“Orlando Furioso” uno story-board, una serie di magnifiche carrellate al
cinema, O non già in Dante?
“L’Indovina Commedia”, un gioco con
venti quiz sulla “Divina Commedia” proposta dal “Sole 24 Ore” l’antivigilia di
Natale, su quesiti di cui non c’erano le risposte già pronte in rete, a cura di
Anna Li Vigni, Davide Tortorella e Francesca Bertani, ha ottenuto ben 839
risposte giuste. “Un risultato eccezionale”, commenta il giornale, “che
dimostra quanto sia diffusa la cultura nel nostro Paese e la conoscenza reale
della «Divina Comedia»”.
Incipit
-
Era Manzoni hegeliano, per la storia della Provvidenza,
ma incerto. “La Storia si può veramente chiamare una guerra illustre contro la
Morte”, o “una guerra meravigliosa contro la Morte”, o “una guerra illustre
contro il Tempo”, sono tre incipit di Manzoni, per “Fermo e Lucia” e poi “I
promessi sposi”. Cosa cambia? Niente – a parte prospettare un Manzoni hegeliano,
per la storia della Provvidenza, ma incerto.
Discutono
su “Lettura” domenica i direttori editoriali della narrativa Rizzoli, sul “mestiere
dell’esordiente”, il cui destino viene spesso deciso dalle sue prime righe.
Michele Rossi, che cura la narrativa italiana, si cimenta per scherzo con
alcuni incipit diversi di testi famosi. Che però, letti a confronto con gli
originali, difficilmente avrebbero fatto di anonimi “Malaparte”, “Morante”, “Berto”,
“Volponi” delle prime scelte editoriali. Neanche gli originali, per la verità.
E allora? Il redattore-editore si protegge, è giusto, leggere “manoscritti”,
tre-quattro al giorno, è una grande fatica. Ma quello degli incipit, che fa
testo da qualche anno, è solo un palliativo, se non è un gioco.
Lettura
–
Si fa a cannocchiale, snodabile. Lenta, svagata, saltibeccante, con rarissime eccezioni,
e limitate, quella filosofica: non si perde nulla, l’argomentazione si vuole
prolissa e ripetitiva, si ritrova sempre il filo, e a ogni inciampo lo si riprende
agevolmente. Deve essere invece lineare, parola per parola, in poesia. E si
vuole attenta, senza sgarrare, e anzi parola per parola, nelle narrazioni,
siano pure svagate o inverosimili. Anche nella storia, quando non sia
semplificativa - fonti, elenchi, comparazioni, deduzioni. Nelle trattazioni
scientifiche è inutile, bastano le formule.
Si vuole totalitaria pure
nell’informazione. Ma superficiale, da dimenticare quasi sempre nella
fattispecie, si memorizza per accumulo..
Internet
-
È un linguaggio in codice, beckettiano. La parte viva, nuova, della rete –
wikipedia è tradizionale, perfino
“troppo seria”. In genere sui toni dell’irrisione – la frase breve vi si
presta.
Realismo –
Scriveva Ford Madox Ford a Conrad, che concordava entusiasta: “Il romanzo è la
vita vista come uno schema: il realismo è la vita vista senza uno schema”.
Sembra barocco, ma non lo è. è eventuale (evenemenziale), per esempio una
partita di calcio. Ma allora è un realismo postmoderno? Cioè, il postmoderno è
un realismo.
Successo – Le
prime cento pagine de “Il Rosso e il Nero” ci vuole molta ingordigia per
avallarle. Le parti di monsignor Del Dongo nella “Certosa di Parma” pure. Le
narrazioni “intime” dello stesso Stendhal dovette invece attendere mezzo secolo
per essere pubblicate, e al culmine di un revival, “Henry Brulard” , del 1836,
nel 1890, i “Ricordi di egotismo”, del 1832, nel 1893. Il successo viene col
tema contemporaneo, sentito – con l’opinione, l’attualità. E con almeno un paio
di sponsor forti, Merimée, Balzac.
letterautore@antiit.eu
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