Sulla fatica
di “essere se stessi”: sicuri, responsabili, all’altezza della situazione, a
proprio agio. Sulle tecniche anche, le strategie, i trucchi. Dell’individuo
contemporaneo, solitario. Della morale nietzscheana: “Il frutto più maturo
dell’albero è l’individuo sovrano, l’individuo che somiglia solo a se stesso”.
E dunque “l’ impostore” è “l’uomo
d’oggi, nella sua variante dinamica” – “è nel desiderio”, cioè, “ anche
nell’angoscia”.
Ciò non
esaurisce la contemporaneità. C’è sempre “il tipo del «formattato» dal posto
che occupa… e non lascerà mai”. E “il tipo dell’individuo sano”, curioso,
adattabile, aperto gioiosamente al cambiamento. E forse non sono la minoranza, sono
ancora la maggioranza. Ma questi tipi non pongono problemi, l’altro sì, siamo
noi.
Belinda
Cannone, romanziera e filologa comparata, si compiace di moralités – ne ha altre sul bacio, il desiderio, la stupidità, la
tela di Penelope. Da fiorettista incisiva dell’impensato, il più spesso, che è
il nostro modo di essere. Sull’“impostura” svolge una riflessione molto
seminale - ancorché non registrata nella scrittura: le pietre d’inciampo si
ergono a ogni pagina. L’infanzia. La vergogna. L’eroismo. La sopravvivenza
all’Olocausto. La “sinistra al potere”, sempre scontenta, voluttuosamente suicidaria.
Per un quasi ossimoro, la sinistra rifiutando il potere, donde il senso
costante di inadeguatezza, insofferenza. “Le imposture dell’amore”, naturalmente,
che prendono la riflessione più lunga –
attraverso una perspicace rilettura dell’“Adolphe” di Constant (ma ci sarebbe
di peggio: una situazione “incrociata”, in cui anche lei è un’altra Adolphe,
soggetto e non più solo oggetto del gioco). E “tutti quelli per i quali essere
amati è inconcepibile” – “molto più numerosi di quanto si creda”. Vittime
presunte, dei genitori (“quanti sacrifici”), dell’infanzia (solitaria), della
competitività.
Siamo tutti un
po’ disadattati, senza saperlo. L’inquietudine ci perseguita, l’incertezza. Che
l’autrice chiama impostura. Umorale e regolata (“parisiciliana”, scherza di
sé), Belinda macina, briosa e acuta, punti di riferimento sorprendenti, sotto
gli occhi di tutti. Film e narrazioni di successo: Kafka, naturalmente, “Rebecca”,
“Il bell’Antonio”, “Il Conformista”, “Matrix”, “Zelig”,etc. Che sono gustose
rivisitazioni per se stesse. A proposito di Kafka, “Nella colonia penale”: qual
è la moralità, che ci fa capire (il racconto e il mondo)? Che l’impostura sta
dalla parte del mondo, perché la legge cui il mondo è subordinato non ha altro
senso che d’essere la legge e cioè una costrizione assoluta ma senza
significato, senza fine e senza oggetto”.
Il problema
può essere di identità: il poeta, il negro bianco, il conformista, la
castellana, il nipote di Van Gogh… E di ruolo: di inadeguatezza,
insoddisfazione, deragliamento (fissazione). Inoltre, l’ impostura può essere una necessità, seppure sbagliata e perfino
criminale. Da “posto”, “postura”, l’impostura è il disagio indefinito che,
nostro malgrado, ci assale anche in situazioni familiari. Il senso, indefinito,
di essere fuori posto, fuori ruolo Nel posto sbagliato o la persona sbagliata. Girando
sempre attorno, naturalmente, a sé stessi.
Si può esser
bravi, perfino perfetti, e a disagio, incerti. O pessimi, e sentirsi a proprio
agio – dichiarandosi, quasi, impostori. La scrittrice fa il caso non
infrequente del buon manager (professionista, lavoratore, imprenditore) che si
vuole poeta, incerto nella sua professione, nella quale eccelle, a suo agio nella poesia, mediocre: “Il sentimento d’impostura non ha niente da vedere col ruolo”, è
“una rappresentazione che ci facciamo di noi stessi”.
Questo per la
parte negativa. Ma l’impostura, potrebbe aver detto Kafka quando la scoprì suo
malgrado (“Nella colonia penale”), domina il mondo. Successe alla borghesia
sotto l’Ancien Régime, insinua Belinda,
che fece la rivoluzione per prenderne il posto: “Tra coloro che cambiano
il mondo ci sono probabilmente numerosi impostori”.
Ciò non vuol dire.
Belinda Cannone, Il sentimento d’impostura,
Edizioni di Passaggio, pp. 160 € 12
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