“La grande bellezza” ha “alzato il livello”, quindi le immagini
sono infine non punitive. Siamo anche nella borghesia urbana, invece che nelle
periferie e la piccola borghesia. Ma il filo è sempre quello della commedia all’italiana:
gli innocenti sono colpevoli, i malvagi se la cavano comunque. Virzì se ne può
dire il nuovo Monicelli, ma senza la canzonatura del maestro. Politicamente sempre
corretto. Perciò con un errore qui di sceneggiatura (o vuol essere,
surrettiziamente, reazionaria?): lo speculatore è l’unico “giusto”. È etico, equilibrato, controllato, fra tanto isterismo da
abbondanza, e a ognuno dà il suo: un ceffone, una confidenza, una benevolenza.
Ma forse
è molto di più, anzi lo è. È di fatto un remake di “La frode”, “film indipendente
girato in 31 giorni” di Nicholas Jarecki, ma di tutte stelle (Richard Gere,
Susan Sarandon, Tim Roth, Laetitia Casta) e hollywoodiano. Anche lì l’affarista
è il più generoso, e perfino il più pulito, in affari, in tribunale, e in
famiglia. Virzì è più asciutto e più veritiero, nei caratteri, i dialoghi, le
recitazioni, le scenografie - sembra Francesco Rosi quando non faceva la
predica. Invece della convenzione hollywoodiana degli affari tra boiseries, limousines, belle segretarie, amanti perdute e avvocati
superlestofanti. Anche
la schizofrenica (Valeria Bruni Tedeschi), che a un certo punto si perde in una
passione divorante (il teatro), fa lieve. Un film, da questo punto di vista, degli equiibri narrativi, capolavoro. Tanto più per
essere giocato sui toni dimessi, degli eventi come si producono, o del neo realismo
non declamatorio – Rosi again.
Il
realismo italiano, apparentemente dimesso e ordinario, di drammaturgia esile,
quando non è convenzionale (politicamente corretto), rende molto meglio delle
convenzioni americane. Che sono invece, esse, sempre convenzionali – classiste,
scontate all’inverso. È reale, cioè vivo, di narrazione non scontata e quindi
attraente.
La Brianza non c’entra. Cioè c’entra, ma senza scandalo. Concorre alla fotografia infine illuminata. E concorre
anche alla storia, ma dalla parte giusta, legalitaria e compassionevole – è un immigrato, alla prima scena, il datore di
lavoro del cameriere che morrà investito mentre torna in bicicletta a casa la
notte nella neve. Lo “scandalo”
sarà servito da pubblicità gratuita, la Lombardia è il più grosso bacino di
utenza dei cinema.
Paolo Virzì, Il capitale
umano
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