È una pièce di trent’anni fa. Ma nelle
celebrazioni che si annunciano per i cento anni della Grande Guerra si rilegge
come la più adatta a una commemorazione. Il sottotitolo è “La grande guerra
nelle testimonianze originali dei protagonisti”. Un collage, di impianto semplice:
utilizza solo parole già dette, dei protagonisti (politici, militari,
industriali, clero, letterati) e delle vittime (soldati, madri, mogli).
Gli autori si sono mossi – lo rivendicano – “al saccheggio” di
memoriali, diari, giornali, e di documenti degli archivi parlamentari e
militari. Le battute che si recitano, asseriscono, “per quanto «mostruose»
possano apparire”, sono documentate una per una – un programma di sala potrebbe
esibire per ciascuna di esse riferimenti bibliografici completi: autore,
titolo, edizione, pagina.
L’effetto è ovviamente critico, cattivo - pur su posizioni
italianiste, nazionali, perfino patriottiche. Ma non del tutto: incombe
sull’evento, che ha aperto un secolo terribile per l’Europa e ne ha deciso
forse la fine, un’aura di fatalità. La pièce è del 1984 (da un copione originario del 1974, a Riccione Teatro:
“Ta-pum ta-pum: la guerra del 1915-18 nelle testimonianze originali dei
protagonisti”) ma l’aria è già incombente da finis
Europae, il filone storiografico europeo successivo alla caduta del Muro
Da storici, gli autori si limitano a individuare “uno spaccato
linguistico e storico che «motiva» il nascere del fascismo”. L’argomento,
contestato al loro tempo, è oggi fuori discussione: non c’è più la guerra
giusta, o buona, la prima, specie in opposizione a quella, “sbagliata”, di
Mussolini. Non c’è più contrapposizione perché il concetto di guerra civile
ingloba tutto. Tanto più che l’Europa non sembra poterne fare a meno - ora non
più con le armi, ma in maniere altrettanto cruente, per esempio con la
recessione indotta su tre quarti degli europei.
Roberto
Franceschetti-Ezio Unfer, Morire
per Roma
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