martedì 7 gennaio 2014

S.Agostino prima di Chomsky

Curioso dialogo, riproposto da tempo come trattatello di pedagogia. La stessa Adele Canilli, che cura questa edizione con una lunga introduzione, molte note e la traduzione, con originale latino, lo conferma, pur proponendosi di leggere il dialogo non come opera pedagogica ma come “un’autentica filosofia del linguaggio, eminentemente compiuta”. Agostino, spiega, è uno che la “vita beata” concepisce in gruppo, “come un fatto sociale” – è uno che non vuole (non sa?) stare solo. Per “la piena identificazione di insegnare e di parlare”. Cioè, la parola è per sé pedagogia. In altri termini: “Il parlare” di Agostino “è un fare, una azione e, in quanto tale, dettata da un moto consapevole della volontà radiato in credenze e convinzioni”.
Resta invece rispettabile il proposito della curatrice: “Il mio intento è di attirare sul dialogo l’attenzione dei linguisti e dei filosofi del linguaggio”. Ma questo Adele Canili scriveva in testa alla prima riedizione del dialogo, già vent’anni fa, e ancora aspetta. Per un motivo. La studiosa s’indirizzava “in specie a coloro che militano sotto l’egida del razionalismo e dell’innatismo”, e “per esempio” a Chomsky. Ma qui il santo è un caso esemplare della curiosa circolarità della semiologia, quando non è divertito esercizio sofistico: segni con segni, segni con parole, e nomi, segno unico.. Per arrivare alla consapevolezza che “o i segni si mostrano con segni, o con segni altre cose che segni non sono”. E finire a “quel settore dei segni in cui con segni non si indicano altri segni, ma le cose che chiamiamo significabili”. Una semiologia dei limiti, della linguistica e della semiologia stessa: la cosa si può indicare senza segno, senza parola, senza suono.  
Agostino comincia a costruire la semiologia su un verso dell’“Eneide”, e con essa anche il vocabolario, e la linguistica: “Si nihil ex tanta  Superis placet urbe relinqui”, II, 659. Ma si ferma a ex, dopo aver “dimostrato” l’impossibilità logica del “nihil”, niente – affronterà i Superis avrebbe riportato il discorso agli dei (“Se agli dei piace che nulla sia lasciato di sì grande città”, Troia). Molto più vivace e à point, sagace, anche nel non detto, dei moderni voluminosi trattati di linguistica - che si vogliono prolissi per non aver nulla da dire?
Aurelio Agostino, Il maestro, Mursia, pp. 151 € 7,30
free online http://www.augustinus.it/italiano/maestro/maestro.htm

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