mercoledì 29 gennaio 2014

Secondi pensieri - 163

zeulig

Amicizia – Facebook la innova come rete commerciale. Un’estensione della vecchia tecnica di vendita porta a porta, oppure a domicilio, che tuttora si pratica per alcune plastiche tedesche. La banalizza, ma non del tutto. Meglio sarebbe dire che la mette a frutto in chiave utilitaria “bassa”,  commerciale. Rispetto a quella alta, del mutuum adiutorium, della forza della simpatia. Non la banalizza del tutto perché, seppure semplificata e mistificata, a carica debole, le conserva una forza, una energia. Come impiego del tempo. Come ritorno al passato nelle immagini e nella ricostruzione del passato stesso. Nell’immaginario, seppure illusorio.
La rete non vuole il contatto personale, prospera in solitudine. Ma è una solitudine popolata, e questo le dà una carica. Sia pure debole.

“Amici, non vi sono amici”, è tutto Nietzsche, la filosofia dell’aforisma. Derrida, che si riduce a Nietzsche ma è altro, lo sa nelle “Politiche dell’amicizia”. In forma riduttiva, non lirica né etica, e tuttavia molto carica di significati. Soprattutto nella certificazione delle dissimmetrie: la corrispondenza fra dissomiglianze, differenze, diversità anche coltivate. Anzi, curate – altrimenti si parla d’altro, di “scambio e debito”. Questo “bene” è gratuito: “Non si dispone del bene dell’amicizia, ma ci si attrezza a offrirlo”.
Avventata anche la nozione del due in uno, che Nietzsche ripropone con costanza.

Heidegger scolastico (2) – Quello scolastico è il più sostanziale, anche coerente. Rosenberg lo inquisì, quello della razza pura tedesca, per gesuitismo scolastico. Lui sempre ha onorato senza riserve la filosofia aristotelica, cioè scolastica, “che ha da sempre pensato realisticamente”. Di cui ha tesaurizzato il linguaggio e la peculiare metafisica. Forse è qui la magia della sua oralità, nel fascino del predicatore - che bisogna immaginare agostiniano o domenicano, non un imbonitore.
Per essere buon scolastico manca a Heidegger l’Expositio super salutatione angelica. Gli manca anche il detto “ex nihilo nihil fit, et in nihilum nihil potest reverti”, niente viene dal nulla, né vi può tornare. Ma questo è voluto, per poter lavorare. Per il resto c’è tutto. Compreso il Cusano del Dio Presupposto: “Se ci si domanda se Dio è, si presuppone l’essere”. Elementare Watson. Ma poi Cusano, si sa, pretese di pesare il respiro. Da ultimo Heidegger non ha trovato “un compito possibile per il pensiero”, dopo cento volumi, di quattrocento pagine in media l’uno. Si è nascosto, insomma, pure lui, per l’eclisse della chiesa e del sacro.
Ma se l’evoluzione, l’ereditarietà e la curvatura dello spazio, invece che leggi di biologia o fisica, scienze rampanti, fossero chiamate enti o essenze, che siedono in qualche iperuranio e di là governano il mondo, non ci sarebbero novità. Heidegger stesso lo spiega di Einstein: lo spazio e il tempo che non sono niente in sé, ma esistono solo in virtù dei corpi e le energie che vi s’imbattono e degli eventi che vi si producono, sono già in Aristotele. E “ciò che è stato sarà” si trova nell’“Ecclesiaste”. L’Ereignis, il Logos o Tao tedesco, intraducibile, è l’inconfessabile “Avvento”.
E si dice scolastico ma s’intende agostiniano. Per quel parlare di Dio per platoniche analogie tra divino e spirituale, che rimise in circolo l’apofatismo già cancellato da Cristo e i primi padri. La sua ontologia è metafisica semplice, derivata dalla teologia, nella formulazione ben nota dell’agostiniano Lutero: “Vivere non è essere devoti ma diventare devoti, non è essere sani ma diventare sani, non è essere ma divenire”.
Un agostiniano insomma, benché disprezzi il latino come lingua filosofica – anche Kierkegaard lo disprezza, ma secondo lui filosofare si può solo in danese – in quanto lingua dell’innominabile Scolastica. Peccato, avrebbe letto in Cicerone che non c’è assurdità che non sia stata detta da qualche filosofo, lui che ora è filosofo solo per i latini. Anche Nietzsche si meravigliava che gli italiani amassero “il grigiore e ancora grigiore della nostra Scolastica tedesca”.
Ma uno Scolastico senza Dio, com’è possibile? “Heidegger non elaborerà alcuna filosofia della religione”, come era nei suoi propositi iniziali, e così pure “Essere e tempo” resterà interrotto, in una con la perdita della fede, o meglio della chiesa. Ma “non si dimenticherà tuttavia delle caratteristiche che temporalità e storicità debbono avere, se autentiche”. Friedrich-Wilhelm Von Hermann, che a Friburgo ha insegnato la Filosofia, già segretario di Heidegger e ora tra i curatori dell’opera omnia, lo dice con semplicità: Heidegger vuole riformulare la filosofia sulla “esperienza fattuale della vita”, e così “l’autentica filosofia della religione”, che va cercata nella religiosità cristiana, così come questa viene vissuta” nell’esistenza.

Mondo – È cacca, dice Kant, per gli spurgatori del genere umano, che si vogliono i veri filosofi (“La fine di tute le cose”, seconda nota al testo): “In ogni epoca, coloro che si autodefinivano saggi (o filosofi) si sono sbizzarriti in similitudini negative, in parte disgustose, per rappresentare il nostro mondo”. Nel complesso, in quattro modi: “1) come una locanda (o un caravanserraglio); 2)come un carcere, tesi cara ai bramini, ai tibetani e ad altri saggi d’Oriente (nonché a Platone); 3) come un manicomio; 4) come una cloaca”.

Nichilismo - La radicale assoluta solitudine dell’uomo è stata materia di vescovi in Concilio. E la discesa di Dio, nel Cristo, al bordo del niente. Il nichilismo, si sa, viene con la teologia. È materia cristiana – e ebraica, mussulmana: del discorso del Dio Unico. Il nichilismo rigoroso non è ateo, si sa, ma credente, si è atei perché si ragiona, si crede nella ragione: quando non c’è più il divino ma un Dio unico, il Principio di tutte le cose, ascendere a Lui, lo diceva William Blake, è “scendere nell’annientamento del proprio io”, che poi conseguentemente diventa annullamento dell’io - si ascende a Dio, già Dante lo sapeva, andando all’ingiù, bisogna essere umili.

Storia – Perché si vuole cancellata? Il nulla e l’assurdo c’erano prima della storia. La storia è nata – la cosmologia, la filosofia – per cercare un rimedio. La prima religione è stata filosofia. La prima filosofia è stata cosmogonica e politica – interrogatrice, consolatrice. È a questo punto che interviene Heidegger, che potrebbe d’intuito ristabilire le cose ma annaspa. Senza colpa, è solo di recente, a opera del Sessantotto che lo ha contestato con Marcuse, che il gigantesco falso su cui l’Occidente edifica la filosofia e la morale è emerso, la trasformazione cioè dei fatti in essenze, degli eventi in parusie, con la mania diffusa delle apparizioni, della storia metafisica. Mentre la dimostrazione di Dio, che la Scolastica basa sul principio di causalità, viene anche meglio con la casualità.

Suicidio - Il suicidio è problematico (per l’etica, il diritto, i rapporti umani), non è un “atto” isolato. Lo è nelle fattispecie, ma la vita non è un fatto isolato.

Primo Levi, che ne ha viste tante, prima di suicidarsi, è perplesso: “Nessuno è in grado di capire il suicidio. Per lo più non lo capisce neppure il suicida”. Il suicidio, in effetti, non esiste. Non se non si è nel pieno possesso delle proprie facoltà - che è proprietà giuridica e non ontologica - o se si vogliono salvare altre vite, se si obbedisce a un codice d’onore, dal comandante della nave che affonda al negoziante fallito, se si è minacciati nella vita, da un inquisitore, una tribù cannibale, un male spietato o molto doloroso. Schopenhauer, che filosoficamente voleva uccidersi, non lo fece. Non ci pensò neppure. Ma anche lui, se lo avesse fatto, non sarebbe stato un suicida.
Morselli lo spiega, lo scrittore, che poi si ucciderà: “Nessuno si è mai tolto volontariamente la vita. Il suicidio è una condanna a morte, della cui esecuzione il giudice incarica il condannato”. Blanchot cita Arria, la moglie di Cecina Peto, per sostenere che “non si può neanche «progettare» di uccidersi”. Non si suicidarono i nazisti dopo la sconfitta – sì, Hitler, i Goebbels, Göring, ma per la scena e non per disperazione: soprattutto temevano la morte, come tutti gli assassini. Non c’erano suicidi nei lager? Troppa fatica, nei campi si moriva comunque. Ce ne sono stati tra i sopravvissuti, i più corazzati, dalla politica o la cultura, e potrebbe essere un modo rovesciato di apprezzare la vita.
In altra occasione, a proposito di Trakl e Celan, “i due poeti tedeschi meno decifrabili”, entrambi suicidi, Levi accosta “l’oscurità della loro poetica” a “un pre-uccidersi”.

zeulig@antiit.eu

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