Fu il primo
successo di pubblico di Conrad, nel 1914 - ed è l’unico romanzo di Conrad con
l’happy ending. Un successo
profetizzato dieci anni prima, alla lettura dell’abbozzo della storia, da Ford
Madox Ford, trattandosi della “storia di una ragazza”. Ottenuto vendendo il
libro, grazie agli editori americani, Doubleday e Knopf, proprio come girl novel. Non è così, è anzi un libro faticoso
– lento e polemico. È però vero che le donne qui ci sono, per la prima volta nello
scrittore all male, di anarchisti e avventurieri.
Anche se da un punto di vista misogino.
È anche il
primo romanzo “marittimo” di Conrad dopo “Lord Jim” , 1900. Dopo tre romanzi
politici. Ed è anche il ritorno di Marlow, l’alter ego del narratore, quello di
“Gioventù”, “Cuore di tenebra” e “Lord Jim”.
“Caso” (chance in origine) è l’intrecciarsi
degli eventi inatteso. Di cui Marlow, impiccione benché solitario e distratto,
è ghiotto. Caso sono anche gli incontri, le coincidenze, le cose quali si
presentano, siano pure inezie. Ma il titolo è ironico – involontariamente? La
vicenda è segnata dalla necessità – la parentela, le abitudini, le
incrostazioni mentali - e non dal caso. E benché sia piaciuta al pubblico, è la
costruzione più complessa di Conrad: un sistema a sei o sette equazioni, tanti
sono i punti di vista, e i livelli di lettura che Marlow è chiamato a collazionare,
e decifrare poi per il lettore.
Un Conrad
al quadrato, dissociativo più di ogni suo altro romanzo, anche perché è lungo
il doppio. Le scene madri si svolgono “Sul marciapiedi”, interminabile capitolo
centrale, tra personaggi che s’incontrano più o meno per caso, o si eclissano
dietro l’angolo. Tralasciando per di più di “dire” molte cose che si mostrano.
Mrs. Fyne per esempio, la moglie di un dei partner
narrativi, madre di due o tre figlie, al secondo capitolo si veste da uomo, dalla
cintola in su, e ha ogni settimana una girl-friend,
che accompagna a passeggio col braccio alla vita – sarà poi gelosissima, anche
delle disgrazie. Una sfida alle convenzioni editoriali, dunque, del successo di
pubblico.
La storia è
semplice. Flora, figlia innocente di un Madoff della City, è affidata nella
disgrazia a parenti sordidi. Confortata da vicini solleciti dei vecchi tempi,
specialmente dalla moglie, Mrs.Fyne. Finché non “fugge” col fratello di lei,
capitano di navi mercantili. Un residuo novecentesco di
un canovaccio molto frequentato nell’Ottocento, “Jane Eyre”, etc. Conrad la
irrobustisce: ne fa la storia di una giovane in pena, che vede solo
la morte come scelta, e per caso viene intercettata, distratta, salvata da un
passante, sia pure uno intromettente come Marlow. Che a distanza, per
l’alchimia dell’amicizia amorosa, simpatetica, ricostituente, per il solo,
minimo, segno di attenzione che manifesta, la introduce a se stessa e all’amore
– “i sogni di sentimento, come i misteri consolanti della Fede, sono
indistruttibili” è una delle frasi famose cui Conrad indulge. Flora a sua volta
fa acquistare spessore a Marlow: la controfigura piatta di Conrad - un marinaio
che non naviga, un amico di tutti senza un amico, un femminilista senza una
donna, e un saputone, uno che sa tutto - diventa una sorta di spirito del bene.
È Flora la girl propagandata come l’eroina del
romanzo, la ragazza infelice. E lo è, ma la storia vera non è di Flora, è di
Mrs.Fyne. Di una femminista antifemminile - “Mrs Fyne non voleva che le donne
fossero donne”. Di uno degli amori che non avevano nome, ma ben saffico, soprattutto
nella gelosia, come era di tanti romanzi Fine Secolo. Anche se, sembra, a
insaputa dello stesso Conrad. In una con un antifemminismo maschilista, anzi
misogino. Se Marlow è Conrad, e lo è,
che nulla concede alle donne - poco o niente perfino a Flora.
E dunque,
perché si legge, dopo l’improba fatica che dev’essere costata al traduttore,
Richard Ambrosini? Per questo – almeno oggi, in questa ripresa: per
l’antifemminismo. Anzi per il rigurgito maschilista. Il curatore della
revisione Oxford venticinque anni fa, Martin Ray, opina che la “successione
consistente di riferimenti alle donne” di questo “Caso”, di cui Conrad si
vantava col suo agente, J.B.Pinker, sia datata e noiosa. E invece no, anticipa una
sorta di revanscismo maschilista – o prolunga il flaubertismo. Quale ora
serpeggia, seppure timoroso di dichiararsi, nello stesso femminismo.
Rinfrescante, non tanto per gli argomenti – peraltro “inediti”, dopo il lungo
inverno femminista - quanto per la franchezza. Né insensato: ogni
argomentazione è condivisibile, probabilmente pure dalle donne.
Molte le frasi
celebri, scolpite, epigrammatiche, aforistiche che infiorettano le disgrazie di
Flora, probabilmente più che in tutti gli altri libri di Conrad. “Non c’è
niente più di una confessione per fare diventare uno pazzo; e di tutte le
confessioni una scritta è la più dannosa” – in argomento il cauto,
disincantato, Marlow esce per una volta dal riserbo: “Mai confessare! Mai, mai!
Uno scherzo inopportuno è fonte sempre di amaro rimorso”. O: “un ideale è
spesso non altro che una visione fiammeggiante della realtà”. Ce ne sono ogni
paio di pagine – “cinismo
mi sembra una parola inventata da ipocriti”, etc..
Fra le
tante elucubrazioni femminilistiche anti-femministe, insomma maschiliste, i
torti del femminismo verso le donne: “una sorta di dottrina morale
ferro-e-fuoco”, una vendetta. Ma più spesso l’attacco è
diretto: “Niente può battere una vera donna nella visione chiara della realtà;
direi una visone cinica”, etc.. In tema basta la dozzina di righe che Marlow
si concede a p. 70: l’onore “è un venerabile lascito medievale che le donne non
hanno mai veramente capito”.; anche la cautela è a loro estranea: “Il
«sensazionale a ogni costo» è il loro motto segreto”: sempre eccessive: “Non si
accontentano di tutte le virtù, pretendono per se stesse anche tutti i crimini”.
Manca “uomini di tutto il mondo, unitevi!”, ma è come se Conrad lo dicesse.
Joseph
Conrad, Il caso, Adelphi, pp. 400 €
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