D’ordinario si esumano, per
questo Spenser, Petrarca (la forma sonetto, il titolo italiano) e la
religiosità. Ma è troppo dire, per un vero canzoniere, di canzonette (ritmo
costante, ritornelli, ripetizioni). Semmai speziato di Lucrezio, come in molta altra poesia elisabettiana,
cantabile e filosofica. Non nello stile, sì nell’urgenza dello stato fisico – la materia, il cosmo, il tempo,
la luce, la tenebra - dell’incipiente scientismo. Come stato e come mutamento, sconfinato e torbido, che
solo nella poesia - d’amore ovviamente – si soddisfa.
Luca Manini, anglista spenseriano
in cattedra a Parma, dà un robusto spessore alla raccolta, col saggio
introduttivo, la traduzione, le annotazioni. Ma non si può non dire Spenser “spensierato”,
disimpegnato. Il vezzo è insopprimbile, il manierismo che occupò il Cinquecento: queste elegie sono già “adorno e impalpabile scenario di Regno delle Fate” (Praz) come poi nella “Faerie Queene”. Gonfio anche, pieno di volute e quasi barocco. Tanto più in quanto si sa che il poeta era bugiardo: bello e onorato, fu un aguzzino, uno che perorava il
genocidio degli irlandesi, alla cui conquista aveva collaborato.
Edmund Spenser, Amoretti, Bompiani pp. 173 (con testo
orig.) € 10
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