sabato 15 febbraio 2014

Amorevole aguzzino, nel Regno delle Fate

D’ordinario si esumano, per questo Spenser, Petrarca (la forma sonetto, il titolo italiano) e la religiosità. Ma è troppo dire, per un vero canzoniere, di canzonette (ritmo costante, ritornelli, ripetizioni). Semmai speziato di Lucrezio, come in molta altra poesia elisabettiana, cantabile e filosofica. Non nello stile, sì nell’urgenza dello stato fisico – la materia, il cosmo, il tempo, la luce, la tenebra - dellincipiente scientismo. Come stato e come mutamento, sconfinato e torbido, che solo nella poesia - d’amore ovviamente – si soddisfa.
Luca Manini, anglista spenseriano in cattedra a Parma, dà un robusto spessore alla raccolta, col saggio introduttivo, la traduzione, le annotazioni. Ma non si può non dire Spenser “spensierato”, disimpegnato. Il vezzo è insopprimbile, il manierismo che occupò il Cinquecento: queste elegie sono già “adorno e impalpabile scenario di Regno delle Fate” (Praz) come poi nella “Faerie Queene”. Gonfio anche, pieno di volute e quasi barocco. Tanto più in quanto si sa che il poeta era bugiardo: bello e onorato, fu un aguzzino, uno che perorava il genocidio degli irlandesi, alla cui conquista aveva collaborato.
Edmund Spenser, Amoretti, Bompiani pp. 173 (con testo orig.) € 10

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