venerdì 21 febbraio 2014

Il giallo esoterico di Dante

Guénon ha ragione, Dante non può che essere stato un “fedele d’amore”: ogni storia esoterica è inoppugnabile. Guénon, che lo sa, procede con certezze. Come Sherlock Holmes, come Poirot, accumulando schegge di verità, secondo lo schema del giallo indiziario. Avvincente, vertiginoso, in poche pagine trasporta dentro la gnosi, la cabala, i misteri, lo stesso occultismo che non apprezza, a ogni tappa avvincente e in certo modo convincente. Ma eliminando quasi tutto Dante.
Come in ogni storia segreta, le pezze d’appoggio non mancano. Intanto, Dante stesso lo dice: “Mirate la dottrina che s’asconde\ sotto il velame delli versi strani”. Poi, non c’è che da scegliere. “È singolare che le tre parti del poema terminano tutte con la parola stelle” - in effetti lo è. E la numerologia? La divisione ternaria, il 7, il 9 di Beatrice, le gerarchie celesti, i cieli, i cerchi infernali, ma anche il 22 (“il numero delle lettere dell’alfabeto ebraico” – cabala?), il 515 (DUX – non un po’ tirato?) e il 666, il “numero della bestia” dell’Apocalisse. Tutto è esoterico per l’esoterismo.
Guénon propende per il Dante templare. Perché, fra tutti, san Bernardo? Perché “stabilì le regole dell’Ordine del Tempio”. Dante, come i Templari, era per l’impero. Ma dovette rifare l’“Inferno”,  secondo Guénon, per tenere conto degli “avvenimenti che accaddero tra il 1300 e il 1314, vale a dire la distruzione dell’Ordine del Tempio”, da parte del re Filippo il Bello e del papa Clemente, che muoiono nel 1314 nel mentre che si svolge “il supplizio dei Templari” da loro ordinato. E non è tutto. Il Sacro Impero ha un significato simbolico: “Ancora oggi, nella Massoneria scozzese, i membri dei supremi consigli sono qualificati dignitari del Sacro Impero”. E la Fede Santa del tempo di Dante non presenta “analogie con ciò che più tardi fu la «Fraternita della Rosa-Croce»”? Eccetera.
Dopodiché c’è solo da mettere qualche argine, da giocarsi la partita con altri esoteristi. Qui con Eugène Arnoux, che il ghibellino Dante voleva repubblicano e socialista, e un càtaro. Insomma un eretico, albigese: la sua “Clef de la Comédie anti-catholique de Dante Alighieri”, 1856, ripubblicato non tradotto da Arktos a Carmagnola nel 1981, lo qualifica di “pastore della chiesa albigese nella città di Firenze, affiliato al’Ordine del Tempio”. O addirittura un pagano – non senza argomenti naturalmente (in un libro, “Dante hérétique, révolutionnaire et socialiste”, che non si è tradotto e non si è pubblicato in Italia). E con Eliphas Levi, che nella sua “Storia della magia” fa largo spazio a Dante iniziato, templare, cabalista, occultista. Quanto al simbolismo, Guénon spiega che a Dante basta e avanza quello della Passione. Con la discesa del Cristo Morto agli Inferi, la Resurrezione, l’Ascensione (“è precisamente il lunedì santo che comincia il racconto di Dante”, che culminerà nella Pasqua di Resurrezione). E che le dottrine esoteriche germinarono, quasi tutte, sulla “dissoluzione dell’Ordine del Tempio”.
Formidabilmente concentrata, in polemica col divagazionismo del genere, la ricostruzione di Guénon è però limitata, limitatissima: al didentro, al testo. Come se Dante non avesse vissuto e operato fuori del testo, uno dei tanti protagonisti di un contesto complesso in mutamento rapido. Il giallo indiziario è diverso del paradigma indiziario di Ginzburg, la collocazione di ogni pezzo nel puzzle. È anzi l’opposto, l’isolamento di alcuni indizi, quelli che portano alla conclusione. Grazie a un uso accorto (emotivo, incalzante) dell’arte retorica – della presentazione. Non a caso Umberto Eco anagrammerà i fedeli d’amore venticinque anni fa, con l’ausilio di Stefano Bartezzaghi, in “L’idea deforme”, l’antologia delle letture esoteriche di Dante.
René Guénon, L’esoterismo di Dante

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