Autore della famosa
negazione logica del suicidio (in un appunto di diario del 1946, spiega Valentina
Fortichiari: “Nessuno si è mai tolto volontariamente la
vita. Il suicidio è una condanna a morte, della cui esecuzione il giudice
incarica il condannato”), Morselli si era esercitato sul fatto nel 1946, in un
articolo per “Il Tempo”, edizione di Milano, e nel 1956 in un “Capitolo breve
sul suicidio”, i due testi qui riuniti dieci anni fa - esercitato teoricamente,
prima di provarlo di fatto, nel 1973.
Il
suicidio non esiste, è la conclusione. Illogica, ma ben argomentata. Non si può
dire suicidio per infermità mentale, per infermità terminale, o comunque per
evitare una fine dolorosa, per salvare vite umane, per un punto d’onore, militare
o marittimo, per la perdita della libertà, della patria, di una persona amata,
della prosperità, anche quando si danneggiassero con esso altre persone, figli,
soci, etc., o per depressione, sia pure superficiale. Morselli sa che la vita è
un dono e un dovere, ma non trova un motivo per condannare il suicidio: “Si
dovrebbe dedurne, e non sarebbe se non apparentemente un paradosso, che non ci
sono suicidi. Il suicidio non esiste”. Senza peccare di apologia: “Non si
esalta una cosa, se si arriva ad affermare che non esiste”.
Notevole
prova dialettica. Specie il breve saggio, successivo alla constatazione del
proprio fallimento come scrittore, ma prodromo a una serie furiosa di romanzi –
seppure pieni di suicidi: “Un dramma borghese”, “Il Comunista”, “Contro-passato
prossimo”, “Dissiaptio H.H.”. Senza possibilità d’ironia: “Nessuno contraddice
al supremo istinto della conservazione, se non vi sia indotto, in ultima
analisi, dallo stesso istinto, il quale si ribella a una condizione di vita che
lo nega, ossia a una sofferenza non sopportabile”.
Nel
primo appunto sul tema, rintracciato da Valentina Fortichiari nel diario del 1940,
quando Morselli aveva 28 anni, la conclusione era opposta: “Abbiamo ragione se
diciamo che il suicida è un ribelle ma sbagliamo quando , condannandolo, ci
appelliamo a Dio. Perché non già Dio, ma il nostro istinto parla in noi, che il suicida ha offeso. L’istinto primordiale
della vita”. Scriveva bene, Morselli, prima della guerra. Ma dopo ebbe il torto
di non essere “in linea” – una linea ferreamente custodita da Calvino, il
migliore di tutti. E fu ridotto a contravvenire all’“istinto primordiale” – un altro
modo, in effetti, di “suicidio” non suicidio.
Guido Morselli, Il suicidio, Via del Vento, pp.29 € 4
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