martedì 18 febbraio 2014

Il suicidio non esiste

Autore della famosa negazione logica del suicidio (in un appunto di diario del 1946, spiega Valentina Fortichiari: “Nessuno si è mai tolto volontariamente la vita. Il suicidio è una condanna a morte, della cui esecuzione il giudice incarica il condannato”), Morselli si era esercitato sul fatto nel 1946, in un articolo per “Il Tempo”, edizione di Milano, e nel 1956 in un “Capitolo breve sul suicidio”, i due testi qui riuniti dieci anni fa - esercitato teoricamente, prima di provarlo di fatto, nel 1973.
Il suicidio non esiste, è la conclusione. Illogica, ma ben argomentata. Non si può dire suicidio per infermità mentale, per infermità terminale, o comunque per evitare una fine dolorosa, per salvare vite umane, per un punto d’onore, militare o marittimo, per la perdita della libertà, della patria, di una persona amata, della prosperità, anche quando si danneggiassero con esso altre persone, figli, soci, etc., o per depressione, sia pure superficiale. Morselli sa che la vita è un dono e un dovere, ma non trova un motivo per condannare il suicidio: “Si dovrebbe dedurne, e non sarebbe se non apparentemente un paradosso, che non ci sono suicidi. Il suicidio non esiste”. Senza peccare di apologia: “Non si esalta una cosa, se si arriva ad affermare che non esiste”.
Notevole prova dialettica. Specie il breve saggio, successivo alla constatazione del proprio fallimento come scrittore, ma prodromo a una serie furiosa di romanzi – seppure pieni di suicidi: “Un dramma borghese”, “Il Comunista”, “Contro-passato prossimo”, “Dissiaptio H.H.”. Senza possibilità d’ironia: “Nessuno contraddice al supremo istinto della conservazione, se non vi sia indotto, in ultima analisi, dallo stesso istinto, il quale si ribella a una condizione di vita che lo nega, ossia a una sofferenza non sopportabile”.
Nel primo appunto sul tema, rintracciato da Valentina Fortichiari nel diario del 1940, quando Morselli aveva 28 anni, la conclusione era opposta: “Abbiamo ragione se diciamo che il suicida è un ribelle ma sbagliamo quando , condannandolo, ci appelliamo a Dio. Perché non già Dio, ma il nostro istinto parla in noi, che il suicida ha offeso. L’istinto primordiale della vita”. Scriveva bene, Morselli, prima della guerra. Ma dopo ebbe il torto di non essere “in linea” – una linea ferreamente custodita da Calvino, il migliore di tutti. E fu ridotto a contravvenire all’“istinto primordiale” – un altro modo, in effetti, di “suicidio” non suicidio.
Guido Morselli, Il suicidio, Via del Vento, pp.29 € 4

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