Il sabotaggio tedesco dell’euro era previsto: “L’euro
nasce per unire ma potrebbe dividere l’Europa” era l’opinione di Martin
Feldstein, profetica (1997), che questo sito ricordava due anni, nel pieno
della guerra dello spread:
Ora che la Corte costituzionale tedesca ha fatto sue le ragioni
della Bundesbank, seppure sottomettendole, per convenienza politica, alla Corte
di giustizia europea, vale la pena rileggere le argomentazioni dell’economista
di Harvard, esperto dei problemi di politica monetaria in quanto ex consigliere
di Reagan - “Emu and
International Conflict”, il suo saggio, fu pubblicato su “Foreign Affaris”,
nov-dic. 1997, pp. 60-73, a cura del Council on Foreign Relations.
“Per molti americani, l’unione economica e
monetaria europea sembra remota”, era l’incipit: non lo è. Nell’immediato, a
partire dal 2002, l’euro “trasferirà la politica monetaria dalle banche
centrali nazionali a una nuova Banca centrale europea”. A lungo termine, l’effetto
maggiore della moneta unica sarà la creazione di un’unione politica, uno Stato
federale europeo con responsabilità sulla politica estera e di sicurezza,
nonché per le politiche economiche e sociali, che ora sono nazionali. “Il
trattato di Maastricht prevede esplicitamente l’evoluzione verso una futura
unione politica”.
Un auspicio, dunque. Ma con un
avvertimento:”L’unione politica tra i paesi europei è concepita anche come un
mezzo per ridurre il rischio di un’altra guerra intra-europea tra i singoli
Stati Ma il tentativo di gestire costruire un’unione monetaria e il successivo sviluppo
dell’unione politica hanno più probabilità di produrre l’effetto contrario.
Invece di incrementare l’armonia e la pace globale, il passaggio all’unione
monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirebbe dovrebbero condurre
più probabilmente a conflitti accresciuti all’interno dell’Europa e tra
l’Europa e gli Stati Uniti”.
Non sarà facile coordinare le politiche monetarie
dei singoli paesi membri in un’unica politica monetaria. Specialmente nei periodi
negativi del ciclo, quando insorgessero la disoccupazione e problemi di
bilancio. Inoltre, i paesi dominanti vedranno accresiuta la possibilità di
determinare le politiche dell’Unione Europea nel suo insieme.
Il primo problema sarà la separazione netta della
Bce dal consiglio dei ministri europei, dall’autorità politica. È
questo il fondamento delle politica monetaria tedesca, l’autonomia assoluta
della Bundesbank dal governo (presunta, n.d.r.: giuridicamente l’autonomia è
netta, ma la nomina del presidente della Bundesbank è solo politica). Mentre la
Francia, almeno fino a qualche anno fa, esigeva la sottomissione dell’autorità
bancaria centrale all’autorità politica.
Un’altra differenza tra la Bundesbank e i partner
europei riguarda l’impegno primario contro l’inflazione, Anche a costo di
un’elevata disoccupazione Le economie
perderanno elasticità, perdendo gli aggiustamenti del cambio. Un limite che
sarà risentito con asprezza in caso di ciclo negativo, con caduta della domanda
aggregata,interna ed esterna, ed aumento della disoccupazione (il caso dell’Italia
da tre anni, n.d.r.): l’euro cancella i rimedi, “il declino automatico del
tasso di cambio della moneta (che favorisca le esportazioni) e un declino dei
suoi tassi d’interesse (incrementando la spesa domestica, delle famiglie e degli
affar, sensibile ai tassi d’interesse)”.
Soluzioni alternative sono possibili, ma allora
in conflitto. Per esempio l’uso della spesa pubblica in funzione congiunturale
contro la disoccupazione e la recessione: “Il «patto
di stabilità» che il governo tedesco ha voluto affiancare
all’unione monetaria impedisce al bilancio pubblico di superare un disavanzo
del 3 per cento del pil”.
Feldstein evoca poi anche il “dumping sociale” tra
i vari paesi membri, nel quadro degli ammortizzatori sociali che garantiscono
il mercato del lavoro. Senza fare ipotesi specifiche (ma è quello che è successo
in Germania dieci anni fa, con gli accordi sindacali voluti dal governo
rosso-verde di Schröder,
per cui si può pagare il lavoro anche quattro euro l’ora, un’elemosina, il
resto ce lo mette lo Stato: non niente, poiché riguarda alcuni milioni di
lavoratori, ufficialmente 7,5 milioni, n.d.r.).
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