domenica 9 febbraio 2014

La Germania si salva col dumping sociale

Il sabotaggio tedesco dell’euro era previsto: “L’euro nasce per unire ma potrebbe dividere l’Europa” era l’opinione di Martin Feldstein, profetica (1997), che questo sito ricordava due anni, nel pieno della guerra dello spread:
Ora che la Corte costituzionale tedesca ha fatto sue le ragioni della Bundesbank, seppure sottomettendole, per convenienza politica, alla Corte di giustizia europea, vale la pena rileggere le argomentazioni dell’economista di Harvard, esperto dei problemi di politica monetaria in quanto ex consigliere di Reagan - “Emu and International Conflict”, il suo saggio, fu pubblicato su “Foreign Affaris”, nov-dic. 1997, pp. 60-73, a cura del Council on Foreign Relations.
“Per molti americani, l’unione economica e monetaria europea sembra remota”, era l’incipit: non lo è. Nell’immediato, a partire dal 2002, l’euro “trasferirà la politica monetaria dalle banche centrali nazionali a una nuova Banca centrale europea”. A lungo termine, l’effetto maggiore della moneta unica sarà la creazione di un’unione politica, uno Stato federale europeo con responsabilità sulla politica estera e di sicurezza, nonché per le politiche economiche e sociali, che ora sono nazionali. “Il trattato di Maastricht prevede esplicitamente l’evoluzione verso una futura unione politica”.
Un auspicio, dunque. Ma con un avvertimento:”L’unione politica tra i paesi europei è concepita anche come un mezzo per ridurre il rischio di un’altra guerra intra-europea tra i singoli Stati Ma il tentativo di gestire costruire un’unione monetaria e il successivo sviluppo dell’unione politica hanno più probabilità di produrre l’effetto contrario. Invece di incrementare l’armonia e la pace globale, il passaggio all’unione monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirebbe dovrebbero condurre più probabilmente a conflitti accresciuti all’interno dell’Europa e tra l’Europa e gli Stati Uniti”.
Non sarà facile coordinare le politiche monetarie dei singoli paesi membri in un’unica politica monetaria. Specialmente nei periodi negativi del ciclo, quando insorgessero la disoccupazione e problemi di bilancio. Inoltre, i paesi dominanti vedranno accresiuta la possibilità di determinare le politiche dell’Unione Europea nel suo insieme.
Il primo problema sarà la separazione netta della Bce dal consiglio dei ministri europei, dall’autorità politica. È questo il fondamento delle politica monetaria tedesca, l’autonomia assoluta della Bundesbank dal governo (presunta, n.d.r.: giuridicamente l’autonomia è netta, ma la nomina del presidente della Bundesbank è solo politica). Mentre la Francia, almeno fino a qualche anno fa, esigeva la sottomissione dell’autorità bancaria centrale all’autorità politica.
Un’altra differenza tra la Bundesbank e i partner europei riguarda l’impegno primario contro l’inflazione, Anche a costo di un’elevata disoccupazione  Le economie perderanno elasticità, perdendo gli aggiustamenti del cambio. Un limite che sarà risentito con asprezza in caso di ciclo negativo, con caduta della domanda aggregata,interna ed esterna, ed aumento della disoccupazione (il caso dell’Italia da tre anni, n.d.r.): l’euro cancella i rimedi, “il declino automatico del tasso di cambio della moneta (che favorisca le esportazioni) e un declino dei suoi tassi d’interesse (incrementando la spesa domestica, delle famiglie e degli affar, sensibile ai tassi d’interesse)”.
Soluzioni alternative sono possibili, ma allora in conflitto. Per esempio l’uso della spesa pubblica in funzione congiunturale contro la disoccupazione e la recessione: “Il «patto di stabilità» che il governo tedesco ha voluto affiancare all’unione monetaria impedisce al bilancio pubblico di superare un disavanzo del 3 per cento del pil”.
Feldstein evoca poi anche il “dumping sociale” tra i vari paesi membri, nel quadro degli ammortizzatori sociali che garantiscono il mercato del lavoro. Senza fare ipotesi specifiche (ma è quello che è successo in Germania dieci anni fa, con gli accordi sindacali voluti dal governo rosso-verde di Schröder, per cui si può pagare il lavoro anche quattro euro l’ora, un’elemosina, il resto ce lo mette lo Stato: non niente, poiché riguarda alcuni milioni di lavoratori, ufficialmente 7,5 milioni, n.d.r.).

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