“Stile, ricerca, sintassi… che buffe parole
quando tutto proclama che «la parola è oggi al cannone», si dice il poeta
soldato prigioniero di guerra. E invece è, nella realtà, il contrario: il poeta
se ne meraviglia, ma gli istinti vitali sovrastano la cattività.
La raccolta comprende dieci
frammenti di memoria, scritti quindici-venti anni dopo il 1944, che il soldato
Sereni passò in prigionia in Algeria. Forse nel dicembre 1956, sicuramente
prima del 1962, quando confluirono in “Immediati dintorni”, la raccolta di
prose che Giacomo Debenedetti aveva convinto Sereni a pubblicare, per le sue
“Silerchie” del Saggiatore. Immagini sorprendenti, per capacità di adattamento,
euforie incontrollabili, resurrezioni, che Dante Isella ha riassemblato in memoriam per questa edizioncina
numerata di Via del Vento a Natale del 2000. Arricchendole del frammento più
lungo, “Il male del reticolato”, redatto a caldo nel 1945, prodromo alle
liriche del “Diario d’Algeria”, 1947. Nel quale il poeta-ufficiale,
impersonandosi nell’ufficiale poeta morto al campo, dopo aver riempito il
giornale murale dei prigionieri delle sue liriche, si chiede appunto cosa fa la
poesia. È un’epoca (la guerra) e una condizione (la prigionia) di fatti che
s’impongono alle immagini, di “quattro o cinque sentimenti elementari”, da
sussistenza, da sopravvivenza. E tuttavia miracolosi.
Sono prose che al lettore
parlano più e meglio delle prime impressioni confidate ai versi del “Diario”. Del
poeta che infine non è più isolato. Nel campo è anzi richiesto e in qualche
modo venerato come l’artista, o il filosofo – “qui tutti leggono, scrivono,
prendono appunti”. La prigionia come un ritorno al paradiso terrestre, di
operosa inattività e cieca fede nel mondo. Una singolare sostituzione tra prosa
e poesia: la prigionia fa bene all’anima, e viene meglio in prosa.
Vittorio Sereni, Taccuino d’Algeria (1944)
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