Marrone,
studioso a Palermo di Montalbano, il commissario, come Eco lo fu di Mike
Bongiorno, non ha paura di essere intelligente con la stupidità. Ma si guarda
le spalle. Il suo tema è “Stupidità e scrittura”, così si intitolava in origine
il libro, vent’anni fa. Lo ripubblica sopraffatto dalla stupidità che ci ha
invaso coi new media, la
stupidità, si sa, è “relazionale”. Ma, poi, vi si avventura poco. È indeciso, la novità in realtà lo affascina.
Il grosso
del lavoro è la riproposta degli scrittori rinomati che si sono esercitati in
argomento: il filone di Giufà, Flaubert, Musil, Adorno, Barthes, Deleuze, Eco,
Sciascia – manca Jean Paul, che è il più divertente. Un’ossessione per Sciascia
- il terrorismo liquidò in tv dopo il rapimento di Moro, sbuffando per
l’indignazione, con due parole: “Sono stupidi!”. Uno spasso per Eco, dal
“Pendolo di Foucault”, qui trattato a lungo, al “Cimitero di Praga”.
Alla fine la stupidità è assolta: è un fatto linguistico. Lo è
Giufà, lo sono i luoghi comuni di Flaubert, il totalitarismo di Adorno, il
signor Chance di Kosinsky (“Oltre il giardino”), il complottismo di Eco e
Sciascia. Notevole Deleuze: la bestia, bête in francese, non è soggetta alla
stupidità, bêtise.
Il capitolo più promettente è rimasto nella penna: la “Ricerca” di
Proust come “un’interminabile galleria di stupidi” (p.46). Anche il
“transpolitico” di Baudrillard prometteva bene – che sa di “trans”, senz’altro:
la stupidità è “l’anomalia, ossia una difformità senza conseguenze, senza più
alcun carattere di sfida o di trasgressione” (siamo tutti trans-stupidi?).
Gianfranco Marrone, Stupidità,
Bompiani, pp. 166 € 12
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