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Actuosum Abini – Vive nella “Clavis” e nel “Titan” di Jean Paul. Una sorta di materia prima, che sarebbe stata teorizzata dall’anatomista tedesco B.S.Albinus a metà del Settecento – o dal padre suo, che si chiamava anche lui Bernhard ed era anatomista? Per Jean Paul è il principio attivo che rende possibile la vita, di cui attribuisce l’ideazione all’incolpevole fisiologo - la cui colpa semmai è di essere stato un meccanicista, il corpo riducendo a ossa e muscoli. La letteratura fa la storia, a volte..Anagrammando la sostanza, il sito Falkenstern Anagramm Generator (Anagramm Spieleck.de), ci ha costruito sopra 1.086 parole, e un numero imprecisato (10897286400?) di anagrammi “matematici”.
Boccaccio – George Orwell – ma nell’ambito di lunga tradizione
di studi britannici – ha “l’innocenza del Boccaccio”. Perduta per via della
Riforma, anche dopo non c’è stata – poco boccaccesco è in effetti il “Decameron”
di Pasolini, o Balzac delle “storie drolatiques”. Situazioni e terminologia
sono nel Boccaccio piane e non pruriginose perché il suo mondo era pacificato.
Orwell dice “quasi pagano”, ma questo è dubbio: nei confronti della religione
la misura comune del “Decameron” è il dileggio. Che, se astratto, è più cattivo
di qualsiasi anticlericalismo laico, e invece è una “questione di famiglia”.
Già
prima della Riforma, delresto, un puritanesimo aleggiava: già Rabelais, nota
Orwell, è sconcio.
Confessione – È altro genere, non da oggi, rispetto alla
“Vita Nuova” di Dante – e ai precedenti latini e greci. Anche alle epistole di
Petrarca. Oggi è come diceva T.S.Eliot nel suo primo saggio su Dante, 1920, di
cui apprezzava la mescolanza di biografia e allegoria, l’estrapolazione di un
senso dalla cose piuttosto che l’aneddoto e l’esibizionismo: “Al giorno d’oggi
possiamo leggere sulla stampa «confessioni» di un valore insignificante. Ognuno
met son coeur à nu (titolo del
quaderno di riflessioni di Baudelaire, n.d.r.), o finge di farlo, e l’interesse
per la cosidetta «personalità» è un fenomeno di una ricorrente variabilità”.
Dante - Quello esoterico, di cui in molta
pubblicistica, e fondamentalmente in Asín Palacios, lo studioso del “Dante islamico”, più propriamente influenzato
dal mistico sufi Ibn ‘Arabi, diventa insostenibile nella versione corretta che ne
dà Henry Corbin. Nel saggio su Ibn ‘Arabi, “L’immaginazione
creatrice”, l’orientalista francese riconduce la cosmologia e l’antropologia di
Dante alla teosofia della luce del neoplatonismo zoroastriano. In età
ellenistica trasfusa nell’islam dalle dottrine gnostiche e ed ermetiche.
Dopodiché, via Avicenna, questa teosofia permeò la cultura medievale.
Eretico
non lo fu a dispetto della chiesa, che invece lo avrebbe voluto. È – sopratutto
se lo si legge invece di parlarne o di sentirne parlare – la chiesa vivente,
l’unica possibile (immaginabile), in ogni suo aspetto, sia pure minimo, un
anfratto, una sinuosità. Della vita conosciuta e degli scritti, in poesia e in
prosa. Ma a dispetto della chiesa. Dopo il concilio di Trento, ma anche prima,
lungo la linea da Petrarca a Bembo.
Dante
riesce dall’ombra a fine Seicento col Gravina, nel quadro del suo “principio di
verosimiglianza” e del necessario “rapporto tra poesia e realtà”. Nonché degli orientamenti
probabilmente anticlericali, benché Gravina fosse legato al card. Pignatelli, vescovo di
Napoli.
Don Giovanni – “Ogni Don Giovanni si risolve in un Faust, ogni Faust in un Don
Giovanni”, Friedrich Hebbel. Non ogni Faust, quello di Lenau e Goethe sì: trapassi
tedeschi – fisica della metafisica?
Però, il
Don Giovanni-Faust è di un italiano, Da Ponte, e di un italianista, Mozart.
Editoria – L’editoria commerciale, a fine Settecento, fu
un punto di svolta nella storia della letteratura: aprì gli accessi alla
scrittura praticamente senza restrizioni, se non quelle deboli (labili,
volubili, influenzabili) del pubblico, dei gusti della maggioranza. Comunque di
un pubblico abbastanza vasto da liberare lo scrittore dai vincoli di casta, camarilla,
corte, dalle inevitabili protezioni. L’autoedizione, con la stampa a domanda e
con l’ebook, potrebbe essere la nuova svolta. A condizione che trovi (si apra,
si crei) sbocchi all’uscita, verso il pubblico.
Parodia- L’esito ultimo è “Finnegans Wake”, un
pasticcio circonvoluto. Contorto, attorcigliato su se stesso. Un onanismo
mentale. Come di un grande, immenso, incommensurabile, perfino sapiente, attore
comico, che si scompiscia alle sue proprie battute in un teatro attonito – vuoto
in realtà. La parodia non regge la distanza: è uno sprint, un uppercut.
Nel “Brusio
della lingua” R.Bathes la vuole sovversiva: prendere di petto il senso non produce che altro senso, la sovversione
del linguaggio è “barare, celare, sottilizzare (nelle due accezioni della
parla: raffinare e far scomparire un bene), cioè a rigore parodiare, ma ancora
meglio simulare”. Ma l’ironia
dissecca.
Meglio
dice Kierkegaard:
“Il quadrato è la parodia del circolo: la vita e il pensiero sono un circolo,
mentre la pietrificazione della vita prende la forma della cristallizzazione.
L’angolare è la tendenza a restare statici: a morire”. La parodia è
solo scherzo. Quindi
breve, inattesa, sorprendente. Altrimenti è faticosa, infelice ripetizione.
Pasolini
- È don
Giovanni. Dario Fertilio riassume sul “Corriere della sera” la lettura di un
romanzo inedito di Carlo Sgorlon sulla morte di Pasolini, “Nel segno del fuoco”,
che così riassume: “Sgorlon trasforma l’eros torbido e tormentato di Pasolini in
una pulsione estrema ma ortodossa, non più omosessuale ma dongiovannesca”.
A parte il lapsus della “ortodossia” (di
Fertilio?), è la lettura che mancava. Sostenuta anche da chi lo conosceva bene,
come Naldini, lo stesso Moravia.
Ma la
sindrome omosessuale si può dire molto dongiovannesca, del Don Giovanni di Da Ponte
e Mozart, ossessionata dal catalogo, dalla pulsione insaziabile, dal possesso che sfugge, e per questo
tormentata. Sia quella del Gay Pride sia
quella rimossa. Don Giovanni è l’insufficienza del sesso-possesso.
.
Umorismo – È interno al linguaggio, secondo Jean Paul,
umorista incontinente tra Sette e Ottocento. L’uso acuto dei segni, per l’arte
germanica del Witz (ma lo humour
britannico non è diverso) che ne moltiplica i riferimenti al reale e il senso
delle cose, ne è l’essenza. Non necessariamente stravolgendo i segni, solo
rivelandone “altri” nessi. Al fondo, una ingegneria della metafora. Tanto più
“naturale” – istintiva, basica, ovvia, non artificiosa (non manifestamente) -
tanto migliore, riuscita.
Jean
Paul diceva “naturale” l’attività metaforica, la costruzione di nessi, anche i
più improbi-improbabili. Naturale al linguaggio, che ne avrebbe bisogno in continuo
per l’analogia necessaria, da ricostituire a ogni istante, tra “interno” ed
“esterno”, la percezione e l’esperienza.
letterautore@antiit.eu
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