mercoledì 19 febbraio 2014

Quel caso Sme è quasi berlusconiano

“La vera storia del caso Sme”, sottotitolo del libro, non è il processo Sme, che non si è mai celebrato. Per “processo Sme” la Procura di Milano ha contrabbandato le accuse di Stefania Ariosto, il teste Omega della Guardia di finanza, contro Berlusconi. Per non fare il vero processo Sme, pur sapendo che più reati erano stati consumati nell’operazione poi fallita. Con l’unico esito di questo libro: 450 pagine fitte, a distanza di soli dieci anni, di nulla. Anzi, curiosamente berlusconiane, a volerle prendere sul serio.
Gomez e Travaglio propongono un Berlusconi Bin Laden e Saddam Hussein. Ma con l’aria di divertirsi – forse non da goliardi. In copertina è Berlusconi, in “una rara immagine degli anni Settanta”, con baffi e basettoni da mafioso, che è invece un falso, e già depone male. Ma non è questa la cosa curiosa, la Procura di Milano si sa come lavora. La cosa curiosa è che Gomez e Travaglio sono impuniti anche per Berlusconi. Qui lo accusano di tutto, ma Berlusconi non ha reagito: chi si somiglia si piglia?
Leggendolo, quasi a ogni pagina il libro è a doppio taglio. Alla seconda si è autorizzati a pensare che l’intercettazione al bar Tombini di Roma ai primi del 1996 fu disposta da Boccassini contro la giudice Iannini e il suo capo Squillante perché due anni prima avevano arrestato De Benedetti per corruzione alle Poste – corruzione che c’era stata. Alla terza il giudice Greco, che dopo due estati di lavoro asfissiante è in vacanza in Sardegna a metà luglio del 1995, torna a Milano per verbalizzare una teste che non sa chi è e cosa vuole ma la Guardia di Finanza gli garantisce che ha rivelazioni su Berlusconi (la teste per un paio di settimane non parla, ma Greco resta a Milano in attesa paziente). Alla pagina terza, o quarta, le confessioni ardue dell’agente Omega si evincono costruite sulle foto di un viaggio di Craxi negli Usa nel 1988. E Omega? “Eccentrica ed emotiva, coraggiosa ma fragile, con un eloquio tra l’immaginifico e l’onirico”. Trascurando quello che non si può tacere, la ludopatia e i debiti. Tacendo il suo poi conclamato vezzo di contrattare ogni “rivelazione”. Col dubbio se sia una contessa, se abbia dei figli e dove, se ha avuto una vita avventurosa in Africa – l’ha avuta: ma perché privare la storia di tanti particolari piccanti?
Alla quinta o sesta pagina l’agente Omega va poi in vacanza col fidanzato che ha l’ha appena usata per denunciare i suoi nemici – così dice lei a Greco. Va scortata da “diversi uomini, baschi verdi della Guardia di finanza che la seguono anche per mare”. Ufficialmente, dice la Guardia di finanza,  per proteggerla dalle minacce degli usurai, mentre Gomez e Travaglio dicono che la minaccia era di Berlusconi. Ma uno storico che dovesse usare il corposo libro non avrebbe dubbi su cosa gli autori intendono. La Guardia di finanza non ha perseguito gli usurai che minacciavano la teste. La stessa prosa è confidenziale - “per la bisogna”, etc.
Il processo parte in tromba quando a Greco subentra Ilda Boccassini. E si concluderà con una serie di assoluzioni per Berlusconi, tutte a Milano – successive al libro (ma è un male: Gomez e Travaglio non se ne sarebbero avvantaggiati?). E con una serie di condanne, sempre a Milano, per i complici di Berlusconi, che però sono giudici e avvocati romani – sentenze poi cassate per difetto di giurisdizione. Tutto congiura alla congiura.
Peter Gomez-Marco Travaglio, Lo chiamavano impunità, remainders, pp. 444 € 4,95

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