Schumann, che fu indotto a
fare musica, diciottenne, dalla lettura dei “Flegeljahre” di Jean Paul, gli
anni dell’incertezza, una parodia commossa dei vari “Anni” di Goethe, lo sente
rivivere anche in Schubert: “Schubert è Jean Paul… espresso in musica”. E in
Beethoven: “Quando sento la musica di Beethoven , è come se qualcuno stesse leggendo
Jean Paul per me”. Di più l’avrebbe sentito in Mahler, che sul “Titano”, il
romanzo di Jean Paul, compose la sua prima sinfonia, e più in generale alla
poesia e alla favolistica si ispirò per le sue composizioni più elaborate e
celebrate come la Sinfonia n.2.
Jean Paul è stato a lungo lo
scrittore più amato in Germania. Schumann ne sarà ispirato tutta la vita, fino
in manicomio. Dopo essersi a lui ispirato per questi “Papillons” per piano, una
delle sue prime opere musicali, e successivamente, nota Sams, che cura questo
ripescaggio, per“molti altri capolavori
pianistici nello stesso stile e genere, come «Carnaval» op. 9”. Per due intime
connessioni: “Jean Paul si rispecchia in tutte le opere di Schumann, ma ogni volta
in veste di due personaggi (come)
Vult e Walt” in “Flegeljahre”, i due fratelli innamorati della stessa ragazza,
Wina. L’introverso e l’estroverso, come gli schumanniani Florestano e
Eusebio. Comune era anche l’espressività
di parole e musica congiunte, fra Jean Paul figlio di padre musicale, e
Schumann figlio di padre letterato. Non la poesia musicata, dei lieder, cori, oratori, messe, ma la
notazione musica connessa alla poesia – un processo d’immedesimazione che Mahler
condividerà con Schumann.
“I «Papillons» sono di fatto intesi come
trasposizione di questo ballo in maschera in musica”, la scena al cap. 63 dei
“Flegeljahre”. Per meglio aderire al testo di Jean Paul, Schumann si fece in
bella calligrafia dieci estratti del capitolo – che Sams qui riproduce. E lavorò alla sua composizione con continui
riferimenti al testo. In particolare all’ultimo estratto, sul “ballo en masque” come “il più alto simbolo di
poesia allusiva” – il rimescolamento di aristocratici e rozzi, vecchio e nuovo,
delle stagioni, delle religioni. Salvo evitare di dirlo, nota Sams, dopo le
prime uscite imprudenti con i familiari, gli amici e i critici: la sua musica
era e sarà “un complicato ibrido verbale musicale”, ma, come già “sapeva per
amara esperienza personale, tutta la sua concezione di un’espressività
musico-verbale sarebbe tata accolta con risentimento e poi rigettata”, e quindi
“non lasciò traccia del debito verso Jean Paul nello spartito pubblicato”.
Sams, all’origine musicologo,
commenta qui lo spartito lungamente per ognuno dei suoi dodici piccoli
movimenti. Dopo aver dato, con piacevole filologia, molti lumi sulle
criptografiche musicali di Schumann, che ne era appassionato, un po’ per gioco
un po’ per follia. In particolare su “Sphinx”, successione di lettere e numeri
musicali, “(rintracciabile anche in Jean Paul)”, e su “Larve”, latino e poi tedesco
per maschera – di cui c’è molto uso in “Flegeljahre”: Sphinx è anche “il nome
di un genere di falene”, Larve sta
per larva-bruco-farfalla. Un terzo elemento di comunanza tra Jean Paul e
Schumann andrebbe aggiunto, la passione verbale, preziosa, ironica scherzosa,
oggi di direbbe decostruttiva.
Erik Battaglia, che edita
questo studio di Sams in memoriam, un
ritorno di fiamma a Schumann dopo una vita dedicata a Shakespeare (tre libri e
cento saggi), menziona più di un riferimento successivo allo stretto rapporto
del compositore con Jean Paul. In particolare il saggio di Eric Frederik
Jensen, “Explicating Jean Paul-Robert Schumann’s Programme for «Papillons»”, e
l’edizione Henle della partitura, a cura di Ernst Hettrich.
Eric Sams, Robert
Schumann-Jean Paul: Papillons, analogon, pp. XIV + 28 (con partitura) € 12
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