Non si ride molto nella
letteratura tedesca. Ovvero sì, ma sul genere satirico. Cattivello, puntuto:
genere tedesco si può dire quello gnomico, aforistico, epigrammatico, di
Lichtenberg, Jean Paul, Nietzsche, gli stessi Goethe e Schiller - l’uno con le corpose
“Massime e riflessioni”, entrambi con gli “Xenien”, stroncature in distico,
poco meno di un migliaio - e fino a Kafka. Il pensiero corto - cioè lungo:
“Brevità di discorso produce vastità di pensiero”, Jean Paul.
Hebbel è celebrato aforista - oltre che “pantragista”.
Che dice l’umorismo l’“unica nascita assoluta della vita”. Ma non fa per lui.
Uomo peraltro non simpatico, e anzi per
certi aspetti spregevole – il denaro, le donne. Non comunque in questa scelta,
benché curata dall’ottimo Brendel – che va meglio per Schubert, anche per Chopin, il poco che ne ha eseguito.
Gode ancora di buona fama per il dramma “Giuditta” - benché abbia qui un paio
di moralità antisemite - ma questo non lo assolve.
Friedrich Hebbel, Giudizio universale con pause, Adelphi,
pp.166 € 12
Nessun commento:
Posta un commento