giovedì 6 febbraio 2014

Se l’aforisma non morde

Non si ride molto nella letteratura tedesca. Ovvero sì, ma sul genere satirico. Cattivello, puntuto: genere tedesco si può dire quello gnomico, aforistico, epigrammatico, di Lichtenberg, Jean Paul, Nietzsche, gli stessi Goethe e Schiller - l’uno con le corpose “Massime e riflessioni”, entrambi con gli “Xenien”, stroncature in distico, poco meno di un migliaio - e fino a Kafka. Il pensiero corto - cioè lungo: “Brevità di discorso produce vastità di pensiero”, Jean Paul.
Hebbel è celebrato aforista - oltre che “pantragista”. Che dice l’umorismo l’“unica nascita assoluta della vita”. Ma non fa per lui. Uomo  peraltro non simpatico, e anzi per certi aspetti spregevole – il denaro, le donne. Non comunque in questa scelta, benché curata dall’ottimo Brendel – che va meglio per Schubert, anche per Chopin, il poco che ne ha eseguito. Gode ancora di buona fama per il dramma “Giuditta” - benché abbia qui un paio di moralità antisemite - ma questo non lo assolve.
Friedrich Hebbel, Giudizio universale con pause, Adelphi, pp.166 € 12

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