Tornare a un’economia Downton Abbey dovrebbe essere imperativo, pena il fallimento. A quando qualche figlio e nipote cominciò a lavorare, e i tanti servi si aumentarono le paghe e le protezioni sociali.
Aumentarsi le paghe oggi non è possibile, in concorrenza coi cinesi e gli indiani, e anzi bisogna spogliarsi anche degli aumenti di produttività (lavorare più e meglio e prendere meno), per non “andare fuori mercato”. Ma, operando sul lordo, e cioè sulle tasse e i contributi, bisogna ricostituire e accrescere il netto, per ridare slancio e carburante alla macchina – ai consumi, alla produzione e al risparmio.
Larry Summers argomentava ieri sul “Financial Times” che quella di oggi è l’economia Downton Abbey, e che sarebbe meglio smetterla. Coi profitti crescenti cioè, e col reddito da lavoro decrescente. “Una generazione fa si sarebbe potuto asserire che il tasso di crescita dell’economia era il miglior fattore di crescita della classe media e di progresso nella riduzione della povertà. Questo non è più plausibile”, inizia affermando l’ex ministro del Tesoro Usa, ex presidente di Harvard: “Una fetta crescente della produzione va ai profitti. I salari reali sono stagnanti. Il reddito delle famiglie non è cresciuto come la produttività”.
Larry Summers argomentava ieri sul “Financial Times” che quella di oggi è l’economia Downton Abbey, e che sarebbe meglio smetterla. Coi profitti crescenti cioè, e col reddito da lavoro decrescente. “Una generazione fa si sarebbe potuto asserire che il tasso di crescita dell’economia era il miglior fattore di crescita della classe media e di progresso nella riduzione della povertà. Questo non è più plausibile”, inizia affermando l’ex ministro del Tesoro Usa, ex presidente di Harvard: “Una fetta crescente della produzione va ai profitti. I salari reali sono stagnanti. Il reddito delle famiglie non è cresciuto come la produttività”.
La critica è giusta – ognuno vede il dato di fatto - ma non coglie lo snodo: la sterilizzazione accentuata del meccanismo dell’economia (riproduzione, accumulazione), si ha oggi all’insegna della democrazia. Della libertà, il libero mercato, la globalizzazione. Mentre l’aristocrazia Downton Abbey era realistica: si riconosceva “fuori mercato”, economico, sociale, politico, e cercava di rimediare. Oggi si usano le ragioni della globalizzazione (immettere l’ex Terzo mondo nella produzione della ricchezza) per spegnere il motore. Per poter competere con i bassi salari delle nuove economie, si dice. Ed è vero. Ma con l’effetto di deprimere la distribuzione del reddito, i consumi, la produzione, la ricostituzione del capitale. I profitti sono salvi – e con essi l’opinione: sono i profitti che fanno l’informazione. Ma l’economia no – e quindi in futuro anche i profitti, quelli non abbastanza internazionalizzati.
Non è che non ci sia una via d’uscita. Una via d’uscita c’è sempre, se la trovarono a Downton Abbey quelli che non avevano nemmeno l’idea di cosa fosse lavorare. Ma bisogna essere liberi mentalmente, “aristocratici”. Non farsi abbindolare dai simulacri democratici, i politicanti, i vetero sindacalisti, i gazzettieri delle banche d’affari. Bisogna ricostituire il valore reale (potere d’acquisto) del salario e delle pensioni, il reddito diffuso. Attraverso la riduzione del prelievo fiscale e parafiscale.
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