“Gli egoisti non capiscono l’ironia”, scriveva qui Banville prima
di farsi “Benjamin Black”, e concorrere al Nobel coi gialli così firmati, unico
prosatore, così assicura nell’autoritratto su wikipedia, nella linea
Joyce-Nabokov - o in quella James-Nabokov (o meglio ancora in quella
Joyce-Beckett, tutta irlandese). Avendo rinunciato al genere trilogie con cui
s’era fatto un nome. Grande narratore, bisogna dire, poiché avvince sul nulla.
Sulla vita – bugiarda – di una spia per posa, sir Anthony Blunt, con gli
amichetti di Oxford e Cambridge tutti spie gratuite di Stalin, nelle pause
dagli orinatoi pubblici, nell’“aria coitale”, sotto cieli “color glande”. Ma non più di tanto, non fa qui il romanzo “straordinario” di Citati che ha coinvolto alla lettura, “forse il più bel romanzo europeo degli ultimi cinquant’anni”.
Anzi: un romanzo noioso, se uno non ha il prurito dell’amore gaio. Anche
sbagliato, storicamente: “Le questioni più serie ci divertivano”, Banville fa
dire al suo personaggio, che espone mediocre come tutti, benché lo accrediti
come l’innovatore, anzi il creatore, dell’iconologia: “Le questioni più serie
ci divertivano”. Sir Anthony Blunt era persona e personaggio ben più poliforme
e diversamente abbordabile di questa narrazione, che lo appiattisce a due
dimensioni, la foia e il tradimento. Era omosessuale dichiarato, quando non si
poteva, e gli inglesi non perdonano, il moralismo gli piace troppo. E forse non
era nemmeno spia. Può aver preferito in guerra Lenin a Hitler o Mussolini, ma
era “un monarchico sincero” – è l’ovvia constatazione di chi lo frequentava,
come Alvar Gozáles-Palacios. E uno studioso, unicamente interessato ai suoi
studi – che in Sicilia e a Roma è rispettabile e rispettato.
Una storia molto inglese, come tutte le spy stories. A meno che non sia
una irlandese vindicatio, contro l’inglese
puzza al naso. È una rappresentazione massacrante della vanità inglese, col
Querrell-Graham Greene e altri personaggi a chiave compresi. Ma allora tanto più sarebbe vento utile rappresentare il caso di spionaggio così come si è svolto, come una campagna isterica contro quella manica di buggeratori cantabrigensi e oxoniensi, la sola prova dello spionaggio essendo stata infine la confessione di Blunt. Che disprezzava i compatrioti, la loro patriottica stampa
Resta che le spie, fuori dei thriller,
sono deludenti. Banville-Benjamin Black deve saperlo. “Ho sperperato la mia
vita raccogliendo informazioni inutili?”, si chiede l’eroe all’inizio della
storia. Eroe per modo di dire, giacché le spie di Cambridge
erano note alle spie della regina. E intoccabili per sentimento di casta
(furono ostracizzate su insistenza americana), in uno spionaggio inteso come
gioco di abilità. Sarebbe stato questo il vero romanzo, per un irlandese poi,
del dilettantismo di cui Londra si fa bandiera, o della forza dello snobismo.
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