L’orologio del
debito pubblico dell’“Economist” galoppa, a ogni secondo diecine di milioni di
dollari si aggiungono alla montagna. Che oggi è di circa 53 mila miliardi di
dollari. Due volte e mezzo l’ammontare di dieci anni fa.
Fra un anno il
debito è previsto dall’orologio a 55.600 miliardi, fra due anni a poco meno di
60 mila. In una dozzina d’anni il debito si sarà triplicato, il debito
pubblico. Mentre i servizi si contraggono, o scadono di qualità, o ci
cancellano semplicemente, i servizi pubblici.
Il debito
italiano è quello che è aumentato meno nel decennio, da 1.500 a 2.400 miliardi
di dollari. Quello tedesco è raddoppiato, e così pure quello giapponese: la Germania
passa da 1.430 a 2.800 miliardi, pur avendo dimezzato i servizi sanitari e
ridotto considerevolmente i trattamenti pensionistici, il Giappone da 6.540 a
12.400 miliardi. La Francia ha più che raddoppiato il debito, da 1.015 a 2.400
miliardi. Gli Usa l’hanno più che triplicato, da 3.600 a 13.300 miliardi. La
Gran Bretagna quasi quadruplicato, malgrado abbia smantellato, letteralmente
anch’essa, lo Stato sociale, da 680 a 2.500 miliardi.
È un debito che
serve a pagare il debito. E cioè i creditori: una miniera sicura per chi ha
capitali. E per chi non ne ha ma sa come “far girare” il denaro. Il fatto è
anche sperequativo: lo Stato fiscale (sociale)
riduceva la ricchezza con la tassazione progressiva, lo Stato debitore la
incrementa pagando interessi a chi può finanziarlo, cioè ai ricchi. Che sono in
grande misura, fra l’80 e il 90 per cento, gli operatori del mercato, i “manovratori”. Il più massiccio trasferimento di ricchezza della storia, probabilmente, dai poveri ai ricchi
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