Un racconto che si rilegge perché a tema
mai abbastanza esplorato: il bisogno di verità in amore, o il rischio delle
illusioni. Di romanticismo ancora Settecento, molto ragionato: il giovane Adolphe innamora tragicamente di sé una donna di cui non
è innamorato - “Disgrazia all’uomo che, al momento di allacciare un legame
amoroso, non crede che il legame possa essere eterno”. Sul pericolo di usare il
linguaggio amoroso, dandosi o ispirando affezioni di cuore (che non sono)
passeggere. In una delle prefazione cui Constant fu costretto dalle letture che
del racconto furono fatte a chiave, riferendolo a fatti e personaggi reali,
precisa di aver “voluto provare il rischio di questi legami irregolari, in cui
si è di solito tanto più incatenati quanto più ci si crede liberi”.
Romanzo di formazione scritto a
cinquant’anni, “Adolphe” contiene nella conclusione anche la lezione: “La
grande questione nella vita è il dolore che si causa; la metafisica più
ingegnosa non giustifica chi ha lacerato il cuore che l’amava”. Uno dei primi
casi di autofiction – se non il primo (ma già Goethe con Werther…). Non a
chiave - i pettegolezzi erano che Adolphe fosse l’autore in amore-lite con
Madame de Staël - ma riferito alla prima giovinezza di Constant a Brunswick.
Benjamin
Constant, Adolphe, Edizioni
Clandestine, pp. 92 € 7
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