Luciano Canfora
barone? Sì, del latinismo meridionale. In coppia con Gian Bagio Conte della Normale
di Pisa – dove ha contestato dal di dentro Settis, alla carica di preside e
nella sfortunata vicenda del papiro di Artemidoro. I due si spartiscono il (residuo)
mercato del latino, e guai a intralciarli: fanno fare ricorso al Tar e scrivere
articoli di fuoco. La prima polemica, innescata per la Befana con fragore e
sdegno dal “Corriere della sera” su impulso di Canfora, si è rivelata del tutto infondata – ha stancato perfino il blogger
portavoce del duo baronale, il latinista di Perugia Loriano Zurli.
Non sono notizie
isolate quelle che fuoriescono sull’abilitazione. Sono tutte denunce dello
stesso indirizzo, umanistico, in prevalenza di latinisti. Ma non sono sole.
Non va giù
l’Asn, l’abilitazione scientifica nazionale, perché ha rotto molti baronati, e
l’offensiva si fa cattiva ai Tar e nei giornali. I giornali per l’indignazione,
che sempre ci vuole, i Tar perché sono soldoni, per gli avvocati e i giudici. A
nessuno dei fini dichiarati, perché l’Asn esiste e non si può abolire, e le sue
valutazioni, per quanto contestabili, non sono in realtà scandalose, in nessuno
dei casi denunciati. Ma con un fine non dichiarato: scardinare (ciò che resta
del)l’università, l’università pubblica. A partire dall’Asn che mostra di
funzionare. Per lasciare tutto come sta, e i professori augusti ricoprire i
ruoli.
Non c’è solo il
sulfureo Canfora che mette fuoco – lui è sempre stato affascinato dai piromani
e dai traditori in genere. Ci sono i giornalisti intelligenti, sempre in palla
con tutti i vizi. E, magari a loro insaputa, l’obiettivo supremo: non avere una
legge per l’università. Quindi abolire l’ultima, la legge Gelmini. Che è stata
votata ma a “furor di popolo” (Stella, Canfora e il professor Zurli) si vuole
abolita. Niente ricambio, giusto quanto basta per rigenerare le cordate.
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