L’articolo di
Baffi verrà ripreso a ottobre del 1992 da “Politica ed Economia”, il mensile
del Pci-Pds, ma confinato a una rubrica interna. Il fascicolo si apriva con un
lungo intervento di Marta Dassù sull’appuntamento col “destino in comune” – pur
rilevando che “la Germania non ha ancora acquisito una capacità di «leadership benigna»”.
Ancora a gennaio
dello stesso anno, “Politica ed economia” e il Pci erano realisti. Elvio Dal
Bosco apriva il primo numero del nuovo anno senza cerimonie: “C’è voluto l’arrogante
aumento dei tassi di sconto e di anticipazione tedeschi decisi il 19 dicembre
dalla Bundesbank, a qualche giorno dal trattato di Maastricht sull’Unione
economica e monetaria, per fare capire sotto quale segno nascerà la Uem”. E
proseguiva facendo affidamento sul “Sole 24 Ore” del 20 dicembre 1991: “Qualunque
cosa fosse il trattato firmato in Olanda, la Bundesbank ha spiegato forte e
chiaro ieri che, Maastricht o no, gli anni che precederanno l’ultima fase dell’Unione
monetaria le cose procederanno come finora: la German dominance, con cui gli economisti contraddistinguono il
potere asimmetrico d’influenza sule vicende monetarie europee tra Germania e
resto d’Europa, sarà esercitata dalla Banca centrale di Francoforte nel pieno rispetto
degli obiettivi tedeschi”.
Netta anche la
conclusione di Dal Bosco: “La Uem sotto egida tedesca è vista come le
fondamenta solide sul piano economico, monetario e tecnologico nella
costruzione del Quarto Reich, imperniato sul vassallaggio economico dei paesi
Baltici, e di Cecoslovacchia, Ungheria, Slovenia e Croazia”. I segni? La
Germania forma i banchieri centrali dell’Europa orientale, vi organizza le
Borse, vi gestisce le privatizzazioni, e crea camere di commercio tedesche: “A
iniziare l’offensiva è stata la Bundesbank”.
Non è che lo
cose non si sapessero, allora.
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