domenica 9 marzo 2014

Il mondo com'è (165)

astolfo

Concilio – Se ne celebrano i cinquant’anni in gloria. Uno dei suoi protagonisti, Yves Congar, ne aveva opinione diversa. “Mon Journal du Concile”, l’opera che volle postuma, da pubblicarsi, prescrisse, “dopo il Duemila”, annota a maggio del 1964: “La Congregazione degli Studi (al Vaticano), con l’imbecille Pizzardo, Staffa e Romeo, è la concentrazione di cretini più caratterizzata”.
Il cardinale Pizzardo era contrario ai preti operai. Mons. Staffa, che Paolo VI farà cardinale dopo la chiusura del concilio, si ricorda per aver fatto erigere una cattedrale in nome di un nipote, e essersi fatto erigere un monumento funebre al modo delle grandi famiglie del Rinascimento. Di Romeo c’è solo uno, che sarà cardinale di Palermo, e non molto gradito allo stesso Giovanni Paolo II che l’aveva ordinato – ma all’epoca di Congar, se era lui, era stato da poco ordinato sacerdote.
Yves Congar era un cardinale francese, molto modernista, e molto influente nei lavori del Concilio, come consultore anche di molti cardinali, e redattore di molti testi (lui stesso ne fa l’elenco nel “Diario”). Redasse il diario in forma molto faziosa, per nulla conciliare. Ma, a distanza, più veritiero che polemico.

Eurasia – È la rivista di Claudio Mutti, anti-israeliano, ex gheddafiano. Propugna le idee di un forte filone politico della cultura russa, che fa capo al filosofo Aleksandr Dugin. Un’idea che è, o avrebbe dovuto essere, il pilastro della terza presidenza Putin. Il quale, subito dopo l’elezione, aveva anche indicato nel 2015 il decollo pratico dell’idea, con un’unione doganale con i paesi del Centro-Asia. In armonia con la Cina da un lato, e l’Unione Europea dall’altro.
Dugin, già animatore venticinque anni fa di un Fronte di Salvezza Nazionale contro il liberismo di Yeltsin, quindi collaboratore di Zjuganov per il nuovo partito Comunista, e infine, nel 1994, fondatore di un partito Nazional-Bolscevico con Limonov, ha posto la sede del suo movimento a Astana, la capitale del Kazakistan, che il padre della patria Nazarbayev ha proclamato la capitale dell’Eurasia.

Il fondo culturale è la comunanza di destino delle popolazioni europee con la “grande madre” Asia. Per una sensibilità umana e sociale che si vuole non mercantilistica – non americana, non occidentale (non “semitica”?).
Il progetto politico è sempre stato russo, poiché vede la Russia come perno della sua proiezione.
La teorizzazione geopolitica dell’Eurasia è invece anglosassone. Opera di Halford Mackinder, studioso britannico (1861-1947) e Nicholas John Spykman (1893-1943). Americano, sociologo studioso di Simmel, e geopolitico, Spykman viene citato nelle storie della guerra fredda come il teorico che consentì la politica di containment. Aggiornò la teoria di Mackinder, dell’Eurasia come  heartland o “isola mondo”, ponendo in rilievo invece l’accesso allo heartland, e cioè il rimland, o bordo esterno di confine, la fascia marittima che delimita l’“isola mondo”. Come zona di scontro e insieme di mediazione. Forte della sua superiorità tecnico-culturale, per una maggiore agilità e apertura mentale, e per maggiori contatti con l’esterno, rispetto allo heartland continentale.
Al termine della guerra fredda Spykman è stato riciclato a tutore di una diversa strategia mondiale. Che avrebbe dovuto vedere ora gli Usa impegnati nel rimland per contenere le spinte egemoniche continentali, della Germania, della Russia, della Cina. Quindi nel Mediterraneo, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano.
Resta da chiedersi chi è Mackinder. Alla prossima.

Italiano – Un “tipo” molto ricercato, con innumerevoli esiti nell’“introvabile”. Mentre sarebbe – è – ben caratterizzabile. Vittima, in parte, della pregiudiziale antilatina, anticattolica, forte in Europa e in Occidente. Ma più della propria opinione, la politica compresa, insieme ai media (le narrazioni, i commenti, e le stesse cronache, che sempre sono scelte e “tagliate”). Introvabile, quando non perverso, è l’italiano per se stesso – per coloro che gli fanno da specchio. Un’opinione che non ha eguali in Europa per indigenza, nelle lingue e nei paesi conosciuti. Nel bene (volemose bene) e nel male. Negli stereotipi e nelle frasi fatte.
Commentando l’Oscar alla “Grande bellezza”, Sorrentino ha notato che solo in Italia è stato visto come un film della decadenza, dell’Italia, di Roma. Altrove dove è stato proiettato ha invece colpito per la comune delusione delle situazioni e dei personaggi, tutti della cultura o dello spettacolo, per la precarietà del successo, per il vuoto di un certo modo di essere. In Italia forse ha toccato un nervo scoperto, ma più come dato “caratteriale”, per la voglia di piangersi addosso, che per la situazione di fatto. Per virulenza antinazionale l’opinione italiana se la batte con l’opinione tedesca. La quale però è un gioco, non intacca il forte senso della nazionalità che i tedeschi mantengono, mentre in Italia è insidiosissima – e vuole esserlo, dietro la faciloneria e la scarsa applicazione. Di Bossi coe ora di Grillo.
Si vedano gli stereotipi e le frasi fatte. L’italiano è statalista (il “posto”), maschilista, sessualmente represso, evasore fiscale, prepotente, disobbediente. Mentre tutto il contrario si repertoria. Molta iniziativa, molta più che altrove. Una condizione in tutti i sensi dominante della donna, in casa e fuori casa. La concezione di fatto meno repressa e deviata del sesso. Di pazienza infinita con gli infiniti soprusi del fisco. Di pazienza infinita con gli infiniti soprusi sbirreschi
L’italiano ha uno Stato che non esprime e che lo tormenta. Ma questo non è a lui imputabile, bensì a chi l’ha fatto – l’ha costruito e lo impone, in buona misura per forza d’inerzia (autopropulsione). L’italiano è vittima di uno Stato indigente, e di un’opinione a esso conforme, piena di pregiudizi e idiozie. Il problema semmai è che l’italiano è troppo mite per liberarsene, come dovrebbe.

Moneta – Quella virtuale subito riporta alla magia. Ora, nel caso di bitcoin, la moneta virtuale divisata e lanciata da un nippoamericano di famiglia samurai, riservato e devoto, Satoshi Nakamoto. Come già la moneta virtuale dell’“economista” del Credito Sociale, il maggiore Douglas, e di Alfred Orage (che molto influì su Pound, il poeta). Col “bisogno” di lavorare meno, e il “salario di cittadinanza”, la distribuzione del reddito disponibile in base ai bisogni e non al profitto. Le teorie di base del Credito Sociale erano all’epoca, tra le due guerre, fulcro anche di un pilastro della scienza economica, “L’economia del benessere” di Pigou. Al maggiore Douglas si deve anche una disamina molto contemporanea della finanziarizzazione.
La ricerca di un’economia sostenibile non è di oggi, anche se velleitaria. Era un’utopia esoterica, quella di Douglas e Orage, confinante con Uspensky e Gurdjieff, anche se Keynes dovette occuparsene. Ne saranno influenzati Pound e l’economia dei “Cantos”, estetica e scientifica. Orage anticipò anche di un secolo l’Età dell’Acquario e il New Age, con la rivista ”The New Age”, che fondò nel 1909 e diresse fino di 1922, potendo contare sulla collaborazione di Chesterston, Hilaire Belloc, G.B.Shaw, Katherine Mansfield, H.G.Wells, Ezra Pound. Nel 1932 fondò un’altra rivista, “The New English Weekly”, che gli sopravviverà di sei anni dopo la morte nel 1934, fino alla guerra, ricca anch’essa di collaboratori di prim’ordine, T.S.Eliot, Dylan Thomas, Orwell, Lawrence Durrell, e Pound, che vi pubblicò oltre 180 “pezzi”. Orage pagava i collaboratori, anche bene, fu il primo traduttore di Nietzsche in inglese, introdusse Freud nella pubblicistica inglese, nel 1912, fu teorico, prima di aderire al Credito Sociale, del Guild Socialism, il socialismo corporativo – “The New Age” fu finanziata per questo da Shaw.

Politica estera – “La discussione sull’Ucraina è tutta sullo scontro. Ma sappiamo dove stiamo andando? Nella mia vita, ho visto quattro guerre iniziate con grande entusiasmo e sostengo pubblico, le quali tutte non sapevamo come finirle e da tre delle quali ci ritirammo unilateralmente. La prova di una politica è come finisce, non come comincia”. Henry A. Kissinger, “How the Ukraine Crisis ends”, “The Washington Post”, 5 marzo.

astolfo@antiit.eu

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