Ralf Dahrendorf,
il sociologo tedesco che insegnava alla London School of Economics, ammoniva
nel 1991 che il trattato di Maastricht avrebbe diviso ulteriormente l’Europa,
invece di unificarla. Le fortissime tensioni monetarie del 1992, di cui fecero
le spese l’Italia e la gran Bretagna, lo confermarono nella diagnosi.
La crisi
monetaria del 1992 fu peraltro il fatto che decise Londra a restare fuori dall’euro,
con molto giovamento e nessun danno. In precedenza, il 14 dicembre 1991, a
ridosso del trattato di Maastricht l’ “Economist” scriveva: “Nell’Unione economica
e monetaria europea i dettagli sono tanto elaborati da apparire incredibili. È
stato accettato un programma che dovrà portare a una moneta unica europea entro
il 1999. Useranno tale moneta quei paesi che saranno sopravvissuti alla cura
macroeconomica dimagrante della Bundesbank”.
Habermas era
anche lui critico verso l’unificazione monetaria. Ne ha poi preso atto. Ma dopo
un decennio di euro ha ritenuto di dover scendere violentemente in campo,
denunciando come un “colpo di stato” l’offensiva franco-tedesca (Sarkozy con
Merkel, Trichet con Draghi, tedesco di complemento) dell’estate 2011 contro
l’Italia. Ha redatto un programma di rientro dagli squilibri dell’euro per il
partito Socialdemocratico, e periodicamente si lancia in campagne di stampa
contro l’egemonia tedesca sull’euro.
“Chi equipara
l’Europa all’euro è già fuori dall’Europa” è il ritornello di Ulrich Beck,
sociologo emerito tedesco ora alla London School of Economics. Che ovunque
trova desolato “il potere dell’euro-nzionalismo tedesco”. La crisi dice una
guerra, “senza bisogno di schierare carri armati,
elicotteri militari e bombardieri”.
Klaus Offe, il
Toni Negri tedesco, da tempo vede l’Europa “in trappola”, perché, invece che dal mercato, e cioè da condizioni più o meno
uguali per tutti, si è fatta guidare dagli oligopoli nazionali. Che hanno
trovato comodo erigere un Nord operoso contro un Sud parassitario, e su questa
linea divisoria, “noi e loro”, hanno messo l’Europa in trappola.
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