domenica 16 marzo 2014

Gli Stati si indebitano per finanziare i mercati

Al termine di queste “Lezioni Adorno”, che Streeck, sociologo politico impegnato, direttore del Max Planck per gli studi sociali di Colonia, ha tenuto a Francoforte nel giugno del 2012, e delle sottigliezze che ci si aspetta dalla “sociologia francofortese”, un dato s’impone robusto: in quest’epoca di superliberalizzazione, gli Stati si sono superindebitati, a beneficio del mercato. Il più grosso trasferimento di ricchezza della storia, dai poveri ai ricchi. Il resto sono chiacchiere.
La traccia delle lezioni è lo stato della democrazia dopo un quarto di secolo di capitalismo senza freni – Streeck va indietro agli anni 1970, ma non bisogna esagerare. Lo stato dell’Europa, soprattutto – la democrazia non è che abbia proliferato molto. C’è qualcosa di cambiato, dice Streeck, in questi anni: il rapporto non è più simbiotico, e neppure univoco, tra capitalismo e democrazia. Lo è mai stato? Comunque, è vero: due secoli dopo Constant, il rapporto tra commercio e democrazia si è rovesciato, è inequivocabile. Il “tempo guadagnato” è quello del malato grave, intende Streeck. Non terminale – in sociologia la fine non c’è – ma come se.
Streeck riporta la crisi ai tardi anni 1970. Un po’ per non legarla alla caduta del Muro – che aveva simpatizzanti. E un po’ perché è il suo paradigma. Le lezioni rielaborano il saggio “The crisis of democratic capitalism” che aveva pubblicato sul n. 71 (sett.-ott. 1021) della “New Left Review”. Il paradigma è che il “capitalismo democratico” è un risultato eccezionale in termini di successo e consenso, ma unico nella storia, e limitato ai “trenta gloriosi”, gli anni della ricostruzione dopo la guerra. Un ciclo chiuso, si può convenire, con la sconfitta americana nel Vietnam, la crisi del dollaro e la crisi del petrolio a buon mercato e abbondante. Dopo di allora, dopo questo periodo di grazia, il capitalismo democratico, insomma il nostro regime politico, si caratterizza per le crisi ricorrenti. La grande Recessione avviata nel 2007, è la tesi di Streeck, non è un’eccezione, ma una, la più grave, tra le tante: il “modello” non regge più.
Forse. Forse è una questione di modelli. Ma forse è una questione di malgoverno. È dubbio per esempio che l’antipolitica, che ha bloccato la politica lasciando campo libero al mercato del profitto, sia un effetto delle istituzioni, del modello democratico, o non il suo killer. È dubbio cioè  che la politica sia corriva agli affari, o non ne sia la vittima, con lo strumento anche della critica, dell’antipolitica. Nel capitalismo italiano, per esempio, che è molto diverso da quello francese, o da quello tedesco.
Il modello imposto dai giudici, per esempio, di colpire i nemici ancorché non colpevoli, e di salvare comunque gli amici, ancorché dichiaratamente correttissimi, è parte del pattern? Sì, lo è, ma non nel senso che dice Streeck – l’“indipendenza” della magistratura è parte di quel pattern. La Germania di Merkel che jugula l’Italia, apparentemente a ragione e in pieno diritto, è in contrasto col capitalismo democratico in quanto è un arraffare cieco.
La sinistra, politica e culturale, oggi si vuole prudente - centrista, borghese, migliorista, meritocratica. E perciò sociologica, vaga – modellistica. Ma un po’ di realismo non guasterebbe: che problema c’è a dire chiaro e tondo, come altri sociologi, anche tedeschi, dicono apertamente, che questo mercato è molto mercantilistico, cioè ingiusto. Segnato dalla potenza e dalla prepotenza. Che ha messo tutti, anche i ricchi, dentro un imbuto sempre più stretto. Chi pagherà i debiti? Chi pagherà l’arricchimento? E che siamo nella barbarie, non nel capitalismo democratico – fuori dalla democrazia (rappresentanza) non c’è capitalismo: è una lezione vecchia di otto secoli, dalla Magna Charta almeno, di cui fra un anno si celebrano gli ottocento anni, non dal dopoguerra.  
Wolfgang Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, pp. 272 € 25

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