Una pubblicazione volumin osa che resterà l’analisi più esauriente della crisi, con
alcune ipotesi e molti punti fermi. Intanto la periodizzazione: è la crisi
2007-2009 - la crisi successiva, 2010-201…, è unicamente europea (alla crisi
bancaria del 2007-2009, che aveva colpito le banche inglesi e tedesche, con le
relative galassie, in Irlanda e Scozia, e in Belgio, Austria, Olanda, essendo
stata sovrimposta dalla Germania la crisi fiscale della Grecia, innesco a
quella dell’Italia, con la Spagna e il Portogallo). I boom del credito
finiscono in crisi bancarie: un boom su tre è finito in crisi. La crisi è quasi
inevitabile quando il boom creditizio è lungo: circa la metà dei boom che
durano più di sei anni collassano. Nella globalizzazione le crisi non
risparmiano nessuno, nemmeno i paesi “spettatori”, che abbiano fondamentali
relativamente forti. Anche la speculazione è guardata dal verso giusto: molti
mercati erano – sono – “poveri” per la grande liberalizzazione. Disarmati cioè
e incompetenti, poveri di regole e di uso pratico di mondo.
Qualche punto fermo c’è anche sui rimedi, le “politiche
macroprudenziali”. Ma più sul lato negativo, delle cose non da fare, che
positivo. Gli interventi di salvataggio
devono essere raggruppati, per ottenere una massa d’urto considerevole. Gli
interventi sono necessari: senza, non c’è salvezza. E devono essere immediati,
per interrompere la spirale della crisi e evitare o limitare il contagio. Anche
per rimuovere le incertezza, che portano a contrazioni precauzionali dei
consumi e degli investimenti. Viceversa, salvataggi bancari a piè di lista,
senza le adeguate ristrutturazioni e ricapitalizzazioni, alimentano la crisi
invece di allentarla.
Le crisi sono prevedibili? Sì e no. Alan Taylor
si diverte, nella parte seconda della ricerca, “Lessons on Crisis Management”, a
fare un caso semplice – anche se improbabile: se la Cina, maggior esportatore,
quindi col maggiore surplus commerciale e delle partite correnti, smettesse di
finanziare gli Usa, il paese più in deficit nei conti correnti e più indebitato
al mondo, smettesse insomma di comprare bond Usa? In tutti gli studi del volume, d’altra parte, è questione del leverage diffuso, popolare, il sistema
della leva: il vezzo di accendere credito su credito all’infinito.
Rischi sistemici vengono dal credito marginale.
Era cronaca negli Usa prima della crisi che le famiglie accedevano ipoteche di
quinto, sesto e settimo grado, per finanziarsi i consumi, e perfino l’azzardo,
anche in Borsa. Non bisogna essere
profeti per predire una turbolenza necessariamente letale per questa sorta di
piramide rovesciata.
In paragone con le crisi finanziarie precedenti
degli ultimi decenni, originate da problemi dei paesi emergenti, quella del 2007-1009
è interamente dovuta, come si sa, ai mercati avanzati. Ma anche la soluzione è
diversa: a differenza di quelle adottate per i paesi emergenti, la soluzione è
stata cercata nella moltiplicazione della liquidità. Gravando cioè il futuro di
ulteriori alee. In particolare in Europa: per le banche, nel 2007-2009 si sono
disposte garanzie pubbliche sulle passività, e liquidità, senza limiti, a titolo quasi di contributo a
fondo perduto e senza collaterali. Anche in assenza, nota lo studio, di una
comune autorità monetaria e fiscale. Che invece verrà fatta pesare
successivamente, ponendo d’arbitrio il debito sotto tiro.
Nello studio più importante della sezione , “Financial
and Sovereign Debt Crises”, Carmen Reinhart (Harvard) e Kenneth Rogoff
(Princeton) propongono (la propongono come “accresciuta probabilità”) una
riduzione del debito, attraverso ristrutturazioni e conversioni, per allentarne
gli oneri nei paesi che più ne sono afflitti: “Il risultato netto (della crisi)
sembra essere stato che gran parte del costo della crisi è stato trasferito sul
futuro, nella forma di un debito più alto e probabilmente di una ripresa
anemica causata dall’incertezza residua sulla buona salute delle banche e
l’indebitamento elevato anche del settore privato”. Le recessioni provocate
dalle crisi finanziarie e fiscali tendono a essere specialmente severe, e la
ripresa successiva tipicamente debole.
International
Monetary Fund, Financial Crises: Causes,
Consequences and policy Responses
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