domenica 9 marzo 2014

La ripresa è anemica se non si ristruttura il debito

Una pubblicazione volumin osa che resterà l’analisi più esauriente della crisi, con alcune ipotesi e molti punti fermi. Intanto la periodizzazione: è la crisi 2007-2009 - la crisi successiva, 2010-201…, è unicamente europea (alla crisi bancaria del 2007-2009, che aveva colpito le banche inglesi e tedesche, con le relative galassie, in Irlanda e Scozia, e in Belgio, Austria, Olanda, essendo stata sovrimposta dalla Germania la crisi fiscale della Grecia, innesco a quella dell’Italia, con la Spagna e il Portogallo). I boom del credito finiscono in crisi bancarie: un boom su tre è finito in crisi. La crisi è quasi inevitabile quando il boom creditizio è lungo: circa la metà dei boom che durano più di sei anni collassano. Nella globalizzazione le crisi non risparmiano nessuno, nemmeno i paesi “spettatori”, che abbiano fondamentali relativamente forti. Anche la speculazione è guardata dal verso giusto: molti mercati erano – sono – “poveri” per la grande liberalizzazione. Disarmati cioè e incompetenti, poveri di regole e di uso pratico di mondo.
Qualche punto fermo c’è anche sui rimedi, le “politiche macroprudenziali”. Ma più sul lato negativo, delle cose non da fare, che positivo. Gli interventi  di salvataggio devono essere raggruppati, per ottenere una massa d’urto considerevole. Gli interventi sono necessari: senza, non c’è salvezza. E devono essere immediati, per interrompere la spirale della crisi e evitare o limitare il contagio. Anche per rimuovere le incertezza, che portano a contrazioni precauzionali dei consumi e degli investimenti. Viceversa, salvataggi bancari a piè di lista, senza le adeguate ristrutturazioni e ricapitalizzazioni, alimentano la crisi invece di allentarla.
Le crisi sono prevedibili? Sì e no. Alan Taylor si diverte, nella parte seconda della ricerca, “Lessons on Crisis Management”, a fare un caso semplice – anche se improbabile: se la Cina, maggior esportatore, quindi col maggiore surplus commerciale e delle partite correnti, smettesse di finanziare gli Usa, il paese più in deficit nei conti correnti e più indebitato al mondo, smettesse insomma di comprare bond Usa? In tutti gli studi del  volume, d’altra parte, è questione del leverage diffuso, popolare, il sistema della leva: il vezzo di accendere credito su credito all’infinito.
Rischi sistemici vengono dal credito marginale. Era cronaca negli Usa prima della crisi che le famiglie accedevano ipoteche di quinto, sesto e settimo grado, per finanziarsi i consumi, e perfino l’azzardo, anche in  Borsa. Non bisogna essere profeti per predire una turbolenza necessariamente letale per questa sorta di piramide rovesciata.
In paragone con le crisi finanziarie precedenti degli ultimi decenni, originate da problemi dei paesi emergenti, quella del 2007-1009 è interamente dovuta, come si sa, ai mercati avanzati. Ma anche la soluzione è diversa: a differenza di quelle adottate per i paesi emergenti, la soluzione è stata cercata nella moltiplicazione della liquidità. Gravando cioè il futuro di ulteriori alee. In particolare in Europa: per le banche, nel 2007-2009 si sono disposte garanzie pubbliche sulle passività, e liquidità,  senza limiti, a titolo quasi di contributo a fondo perduto e senza collaterali. Anche in assenza, nota lo studio, di una comune autorità monetaria e fiscale. Che invece verrà fatta pesare successivamente, ponendo d’arbitrio il debito sotto tiro.
Nello studio più importante della sezione , “Financial and Sovereign Debt Crises”, Carmen Reinhart (Harvard) e Kenneth Rogoff (Princeton) propongono (la propongono come “accresciuta probabilità”) una riduzione del debito, attraverso ristrutturazioni e conversioni, per allentarne gli oneri nei paesi che più ne sono afflitti: “Il risultato netto (della crisi) sembra essere stato che gran parte del costo della crisi è stato trasferito sul futuro, nella forma di un debito più alto e probabilmente di una ripresa anemica causata dall’incertezza residua sulla buona salute delle banche e l’indebitamento elevato anche del settore privato”. Le recessioni provocate dalle crisi finanziarie e fiscali tendono a essere specialmente severe, e la ripresa successiva tipicamente debole.
International Monetary Fund, Financial Crises: Causes, Consequences and policy Responses

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