Una
rilettura filologica del mito, dopo quella narrativa di Calasso, “Le nozze di
Cadmo e Armonia”: l’Italia, l’Europa, è all’ora del buon tempo che fu, si
consola. I miti inventati dai greci, riprovevoli e tutto (Senofane), ridicoli
(“illuministi ionici”), matti (Cicerone), scandalosi e corrotti (patristica,
sant’Agostino), favolosi (Francesco Bacone), “pure, il loro culto defunto
migrerà nella letteratura e nelle arti, e i miti diverranno trame, scene,
teatri, musiche, affreschi, tele in tutto l’Occidente, cui a lungo non
interesseranno molto, in genere, questi problemi”. Al punto anzi che,
smettendoli, come farà a partire dal secondo Ottocento dopo un paio di
millenni, si inaridirà.
Già
Friedrich Max Müller (1823-1900) si impegnava a spiegare “ciò che nella
mitologia greca c’è di stupido, di assurdo e di selvaggio, da far inorridire il
più selvaggio dei pellirosse. Lo studioso era figlio di Wilhelm Müller, il modesto
classicista che l’Italia aveva deluso, poiché non vi aveva trovato la musica – ma
dove l’avrà cercata? il Müller-mugnaio autore della “Bella Mugnaia”, e del
temibile “Viaggio d’inverno” di Schubert. Di suo fu inventore delle
religioni comparate, e animatore del turanismo, “tutti turchi” – tutti quelli
che parliamo lingue uralo-altaiche, cioè turche, nell’ambito del dimenticato
panturchismo. Ma non importa: il mito s’imborghesisce, come la religione. È su
questo terreno che l’Europa e l’Occidente sono al guado, la secolarizzazione,
la piccola ragione.
La
materia è vastissima, quasi inafferrabile – John Lemprière, che moriva quando Müller
nasceva, classifica nella “Bibliotheca
classica”, che non si è più rifatta, almeno
14 mila nomi propri, “di cui la metà di mitologici o comunque connessi con la
mitologia (gli altri di storia, geografa, letteratura)”, nota Carena. I miti sono
il “tronco metafisico poetico” di Vico, attraverso il quale la poesia diventa
fisica, cosmografia, astronomia, cronologia e storia, geografia. E sempre vere
al fondo, non oziose o oscene: “Non si può dare tradizione, quantunque
favolosa, che non abbia da prima avuto alcun motivo di vero”.
La
squalifica del mito è recente, di Platone. Fino ad allora, “«mito» è
genericamente un racconto, come lo è il logos”, diventa una narrazione
falsa con la Sofistica: “È con Platone che mythos diviene un racconto
inverificabile e irrazionale opposto a logos, il discorso argomentativo”
come poi verrà inteso. L’annuncio “il grande Pan è morto” Plutarco registra più
tardi, all’età di Tiberio – omaggio dissimulato al cristianesimo? E tuttavia,
per due millenni il mito ha continuato a “fare” la migliore poesia, le arti e
anche la filosofia.
Lo
studioso, filologo non accademico, se ne riempie ancora i sensi e lo spirito, “della
natura genetica del mito; del suo genere misto fra popolare e cortese,
teologico e letterario; della sua pregnanza creativa e creatrice nella piena
libertà dell’ingegno e dell’animo; della beatitudine che suscita l’abbandonarsi
all’ombra di queste fronde folte, estendentisi all’infinito”. Facendosi rivivere
roba del calibro di Prometeo, gli Argonauti, Eracle, Edipo, roba che l’“Iliade”e
l’”Odissea” sono a fronte quasi poca cosa, e Medea, Fedra, Ifigenia – e Andromaca,
Antigone, Cassandra.
Carlo
Carena, Il fascino del mito, Salerno, pp. 115 € 8,50
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