Si dice scomparire per morire. È anche l’esito
del poeta Montale, “svanire\ è dunque la ventura delle venture” (“Tendono alla
chiarità le cose oscure\ si esauriscono i corpi in un fluire\ di tinte: queste
in musiche. Svanire…”). Fechner, il creatore della psicofisica, la psicologia
fisiologica, dice di no, al contrario: si nasce morendo. Non dunque nascendo
morimur ma al contrario morendo
nascimur. Non un paralogismo, è una verità - Borges, “La rosa profonda”, ha questo
esito: “Le voci\ dei morti mi diranno eternamente”.
“L’imponderabile finisce per avere un
ruolo più rilevate del ponderabile”. “Nessun effetto si esaurisce in se stesso,
anzi ognuno produce in eterno nuovi consimili effetti”. Una vita vissuta su
un’isola deserta, oppure un solo attimo alla nascita, “non potrebbe più morire
eternamente”. È così che la vita “comincia” con la morte. È un paradosso, vivere
nella morte, ma il padre della psicofisica lo argomenta persuasivamente. Con la
morte si accede a “un corpo collettivo… immedesimato con la natura terrena”.
Se ne può ridere, ma non senza
turbamento – e non per il fascino dell’illusione. La similitudine è con le
“innumerevoli onde concentriche tangenti nello stesso lago”, le innumerevoli
onde sonore e luminose nell’etere, le innumerevoli onde di memoria nel
cervello. Vivere oltre la morte sconfina nell’esoterico, la morte come passo
risolutivo del nostro mistero no. Wiliam James apprezzò il “Libretto”, che fece
tradurre, per la prospettazione del mondo come entità viva, al cui
miglioramento (evoluzione) l’uomo contribuisce con la propria sensibilità. Col
proprio corpo, che la sensibilità anima. La coscienza è eterna, superindividual.
E prospera oltre la morte dell’individuo, anzi della sua stessa morte, nella
memoria.
“La morte è soltanto una seconda nascita
verso un’esistenza più libera”, come il bambino fece “alla sua prima nascita”.
Ritrovando “chiaro come la luce del giorno” tutto quello che già in vita “rinvia,
attraverso il presentimento, la fede, il sentimento e l’istinto del genio” alla
vita aldilà. Nella “unità organica con il mondo” che è stata la vita e ora si
manifesta: “L’opera con cui ciascuno durante la vita ha contribuito a creare,
formare, o conservare le idee che pervadono l’umanità e la natura, è la sua
parte immortale, quella che continuerà ad agire al terzo livello, anche se il
corpo, a cui la forza attiva era legata al secondo livello, sarà da tempo
decomposto”. Cristo ne è un esempio: “Non è parola vana che Cristo viva nei
fedeli”. Così “ogni uomo valente”. Così ogni uomo.
La vita oltre la morte è la memoria,
nulla di scandaloso. È anche tema letterario. Valga Proust per tutti, “La
prigioniera”: “Quando superiamo una certa età, l’animo del bambino che fummo e l’anima
dei morti da cui siamo usciti vengono a gettare a manciate le loro ricchezze e
i loro sortilegi…”. Ma non solo quelli da cui “uscimmo” biologicamente,
aggiunge Fechner. Né in moto unidirezionale, dei vivi nei confronti dei
morti. La relazione è biunivoca: come l’urto fisico è avvertito dalle due parti, chi urta e
chi è urtato, Fechner immagina che il ricordo di un defunto sia “un unico urto
di coscienza avvertito da due parti”.
Fechner è uno scienziato dell’anima, l’Einstein
dei sentimenti. Per la legge di Fechner, la formula con cui nel 1860 regolò il
rapporto “tra anima e materia”, tra stimolo fisico e sensazione:
S = c · log R
di cui non staremo a spiegare i
simboli. Elaborò anche un più pratico “paradosso di Fechner”: uno stimolo visto monocularmente appare più brillante
dopo che sia stato visto binocularmente. Il giorno in cui, svegliandosi, ebbe l’intuizione
della “scala psicofisica” o legge di Fechner, il 22 ottobre (del 1850 o del 1860)
è giorno celebrativo da alcuni gruppi di psicologi. La sua opera è un misto di filosofia
della natura e positivismo, tra una metafisica perfino bizzarra, radicalmente
speculativa, e il calcolo. Ma aveva debuttato con una serie di opere
alla Jean Paul, sul grottesco del reale, o la sua verità nascosta.Dopo aver studiato medicina
a Lipsia, e aver letto “La filosofia della natura” di Oken, discepolo e amico
di Schelling, scrisse con lo pseudonimo Dr. Moses una serie di libelli di
spirito jeanpauliano, una sorta di “umorismo scientifico”: la “Dimostrazione
che la luna è fatta di iodio”, un “Panegirico della medicina e della storia
naturale odierne”, e nel 1825 una “Anatomia comparata degli angeli. Uno schizzo”.
Questo “Libretto”, scritto dieci anni dopo l’“Anatomia degli angeli”, e
pubblicato nel 1836, sempre come Dr.Moses, collega le due fasi. Il “Libretto”
si ebbe le lodi entusiaste di Bettina von Arnim, e divenne il libro più
popolare di Fechner. Prospetta una sorta di evoluzionismo: la trasformazione
dell’uomo attraverso tre stadi dell’esistenza, prenatale, postnatale e dopo
morte, e due “nascite”, quella propriamente detta e la stessa morte. Fechner lo
riesumerà come terza parte della sua opera scientifica sistematica, lo “Zend-Avesta”.
È un testo evocativo più che filosofico.
Con un’avvertenza: “Invano sognerai di una vita dopo di te, se non sai riconoscere la vita intorno a te”.
Gustav Theodor Fechner, Il libretto della mia vita dopo la morte,
Adelphi, pp. 106 € 10
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