Kerç, la comunità italiana, le purghe di Pajetta, e la paura dei tedeschi, di cui si tace nelle cronache dalla Crimea, erano così narrate nel 2008, nel romanzo “La gioia del giorno”, di Astolfo, ambientato negli anni 1968-1969:
“Il comunista ha l’ambizione di essere assolutamente uomo”, dice bene il cane da guardia Nizan: “Il comunismo comanda il respiro, la vita privata, l’avvenire, la morte. Uomo e non cittadino”. Ma crede a Mosca. Inspiegata è la fedeltà dei comunisti all’Urss, di cui nulla sanno, che non ha creato una sola emozione, e non ha alcun potere di coercizione, ora che non c’è più da preparare la rivoluzione mondiale, né da difendersi. Boleslao, che è stato a Mosca nei Trenta, prima di arruolarsi con Anders e liberare
- Per un periodo fui assegnato a Odessa, in pratica deportato. A
Kerč, vicino Odessa, c’era una colonia di pugliesi. Un giorno con Pajetta fummo
comandati di partecipare a una cistka, un comitato per l’epurazione, di questa
colonia italiana, e ce la cavammo non decidendo nulla. Ma pochi mesi dopo, a
Mosca, ho letto che il comitato cittadino del Partito era stato “smascherato,
arrestato e punito”. Con la deportazione o la fucilazione. - Si materializza un
luogo della storia sfuggente: si sono assimilate nel tempo le colonie franche,
cioè genovesi, stabilite in Crimea, ma non questa di contadini e pescatori che
negli anni dell’emigrazione nel secondo Ottocento hanno scelto la penisola,
fertile di grano e di pesce. “La morta Kerč”, una città che trasloca, così la
vede Sklovskij nel Punteggio di Amburgo,
con le donne sedute su cuscini alla finestra, verso una fabbrica in
costruzione, uno dei pochi luoghi nominati degli ebrei kazzari, la tredicesima
tribù. Era ottimo porto, che signoreggiò il Bosforo Cimmerio, attesta
Algarotti. In guerra la popolazione sarà sterminata dai tedeschi, col noto
espediente di radunarla in piazza per avvisi importanti. Furono falciati con le
mitragliatrici, ma non in piazza. A gruppi, furono portati alla fucilazione
fuori città.
- Andavamo a Mosca – spiega Boleslao - pur
sapendo che potevamo sparire, per contrasti nel Partito che passavano sopra la
nostra testa, o per delazioni, anche dai paesi d’origine. Pajetta racconta che
fu tentato di uccidersi per la vergogna, ma c’è sempre qualcuno che è migliore
comunista di te, c’è il comunismo. – Pajetta
che va dicendo: “Sto in questo partito da cinquant’anni, gran parte dei quali
trascorsi, senza grande esito, a smascherare socialisti e socialdemocratici”.
Bisognerà ora smascherare i comunisti. - Le cistke
sono raduni nei quali i compagni si confessano, tutti contro tutti. Lenin le
inventò per introdurre un po’ di democrazia: essendo il partito unico esposto
col potere ad abusi e corruzione, i suoi membri dovevano passare periodicamente
un esame pubblico. Si partiva dalla famiglia d’origine, prima della rivoluzione.
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