giovedì 20 marzo 2014

Letture - 165

letterautore

Confessione - L’esame di coscienza resta l’unica cosa che si può praticare senza danno. Salvo riscoprirsi l’Incantato del presepe, il pastore che “non ha nulla e non porta nulla” di Corrado Alvaro: “S’è fermato accanto alla grotta e guarda la stella che s’è posata come una farfalla tra la neve della roccia. Sta lì a braccia aperta, bocca spalancata, colpito dal segno celeste, senza poter parlare. Egli ha capito tutto, ma non potrà raccontarlo a nessuno”.

Il narciso Colette, che di fiori e odori è esperta, dice bituminoso. Narciso non suona bene, non solo in italiano, e peggio nell’originale greco nàrkissos, sdrucciolo.

Oltre un certo punto l’esame di coscienza è peccato, dilettazione morbosa. Pathos mathos, si direbbe in greco, la sofferenza è un’abitudine – di pathei mathos, l’abitudine della sofferenza, parla Eschilo nell’Agamennone.

La confessione non è nei vangeli, né c’è pentimento richiesto, Erasmo se lo disse con Lutero. Anche se l’esame di coscienza frena e restringe la naturale turpitudine: ognuno ha un suo oracolo personale, come Senofonte sostiene in difesa di Socrate, anche se non tutto è prevedibile, non è segnato né logico.
E l’altro è nell’io, dice sant’Agostino nella Confessioni. O è viceversa, che l’io è nell’altro? E la letteratura che c’entra? Quello che s’intende per confessione, il sogno vigile, sono le insonnie. Più in quest’epoca di celebrazione, dei “trenta gloriosi”, gli anni della Ricostruzione postbellica o i giorni del maggio ’68 in Francia, in memoriam, del prodotto interno lordo che cresce, ora di molto ora di poco, e dell’abolizione del dolore. Non ce n’è più materia, da qui la inconsistenza, il nulla.
È così che ora Dio è quello che non parla. E si può solo scrivere a se stessi. La confessione è un’esibizione, il dottor Freud va posto, pure lui, nel Krafft-Ebing. Si repertoria per non sapere che fare.

Ma l’ipotesi che Rousseau non avesse cinque figli in orfanotrofio, per essere impotente, è notevole. O Casanova, l’altro grande confessore. D’impotenza sospetta Casanova pure l’emulo Fellini, l’unica sua traccia nel secolo restando la narrativa, godeva al pensiero, e le lettere di cui fu autore e collettore a miriadi. Godere di se stessi porta all’inazione, non è vita filosoficamente vissuta. Seppure saggia, si capisce quando viene a mancare. Sì, passiva, un tempo si sarebbe detta femminea, blasée e snob, ma ci vuole pazienza, oltre che generosità, stare ad ascoltare.
Il bene è impossibile. Se non si è poeti, ai margini della storia. O eroi, o santi. Non se si è solo stanchi. Benché, dormitio si dice la morte dei santi, dopo che hanno fatto i miracoli: il riposo è attitudine mentale, una piega intima della personalità. Si direbbe un’arte. C’è chi s’affatica dormendo. E ci sono eroi e santi muti.

Francofonia – Se ne celebra a Roma in realtà la scomparsa, improvvisa, radicale. Ancora una generazione fa alla scuola media si insegnava il francese, che poi è svanito, letteralmente. Si storpiano, inglesizzandole, le poche parole francesi di uso comune, stage, dessert, dépliant. Nel 1950, sulla “Stampa” (l’articolo è ora in “Scritti dispersi”) Corrado Alvaro, a lungo corrispondente negli anni 1920-1930 da Parigi, doveva registrare: “Sono lontani i tempi in cui mi sentivo domandare da francesi se a Roma esistessero il tramvai e gli autobus”.

Libro – Ora che va (forse) a scomparire si celebra in tutte le forme, e più in quella, in uso ancora nei primi ani  1960, anche nei libri scolastici, delle “pagine da tagliare”. I primi giorni di scuola si passavano a tagliare le pagine dei voluminosi volumi. In libreria l’acquisto non era di soddisfazione: si chiedeva un titolo a un arcigno commesso dietro un bancone, come ancora all’autoricambi o al ferramenta, e si aspettava che tornasse col volume. Ma il piacere dell’acquisto quasi obbligato veniva rinnovato una volta a casa dal taglio delle apgine, quasi una presa di possesso. Con un tagliacarte, ora anch’esso scomparso, d’osso o metallo o semplicemente con un coltello da cucina.
Le signore e i facoltosi invece si facevano tagliare le pagine dai commessi di libreria. Prima della spedizione a casa – le signore e i facoltosi non si portavano via i libri comprati, anche perché usavano comprarli una volta a stagione, non uno per uno, e quindi erano spesso numerosi. I fattorini della libreria glieli recapitavano a casa. Anche questo ancora cinquant’anni fa.

Marx – È Jean Paul? È un’idea: sardonico, sarcastico, rifondativo – uno che rimette tutto in causa, “a maggior ragione” beninteso non per egotismo. Hartmut Retzlaff,  direttore del Goethe Institut a Roma, trova in Jean Paul tutto il primo Marx, che ne era gran lettore: l’alienazione e il feticismo della merce, “i termini cardine della critica delle merce nel primo volume del «Capitale»”. Molti studi sono stati fatti in argomento, attesta Retzlaff (in appendice a Jean Paul, “Clavis fichtiana”). E poi dopo: “L’uso metaforico delle Charaktermasken (termine che origina nella Commedia dell’Arte), come parametro di una sociologia dei ruoli ante litteram, e il termine Fetichismus per descrivere l’autoriduzione delle società evolute a un primitivismo percettivo, risultano decisive per la sociologia del tardo Marx”.

Popolare – Sembra remota e lo è, la ricerca del “popolare” nelle arti, la poesia, la musica – anche Giovanna Marini, l’ultima ricercatrice, ha una certa età. La teorizzazione remotissima – benché, a rileggerla, non rozza, anzi articolata, prudente. È mezzo secolo.
Ma il senso di remoto è pervasivo: la Repubblica ha traversato molte storie, e non lo sa. Bisognerebbe rivangare gli studi del “popolare” nel senso del reale, della realtà italiana.

Recensione – “Ricordo molti anni fa il disprezzo con cui Malraux mi disse di avere avuto in Italia più recensioni alle sue opere che nella stessa Francia”. Il ricordo di C.Alvaro è del 1950 (nell’articolo su citato), ma non peregrino: la recensione non è arte italiana. O lo è in senso deteriore – senza la necessità peraltro di leggere il libro.
Ricorda Alvaro di seguito: “Ho veduto lettere di italiani a scrittori francesi piuttosto modesti, piene di tali proteste di ammirazione, da suscitare nei destinatari il sospetto che si trattasse di sentimenti morbosi”.

Sante – Santa Ester, che si venera l’1 luglio in “tutte le chiese che ammettono il culto dei santi”, dice Wikipedia, la stessa Wikipedia rappresenta lussureggiante di nudità nel dipinto di Chassériau, “Ester alla toeletta prima di presentarsi al re Assuero”. Ma non è blasfemia: è vero che le sante sono più “corporali” dei santi: più umorali, fisiche, espressive.

letterautore@antiit.eu

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