Confessione
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L’esame di coscienza resta l’unica cosa che si può praticare senza danno. Salvo
riscoprirsi l’Incantato del presepe, il pastore che “non ha nulla e non porta
nulla” di Corrado Alvaro: “S’è fermato accanto alla grotta e guarda la stella
che s’è posata come una farfalla tra la neve della roccia. Sta lì a braccia
aperta, bocca spalancata, colpito dal segno celeste, senza poter parlare. Egli
ha capito tutto, ma non potrà raccontarlo a nessuno”.
Il narciso Colette, che di fiori e odori
è esperta, dice bituminoso. Narciso non suona bene, non solo in italiano, e
peggio nell’originale greco nàrkissos,
sdrucciolo.
Oltre un certo punto l’esame di
coscienza è peccato, dilettazione morbosa. Pathos
mathos, si direbbe in greco, la sofferenza è un’abitudine – di pathei mathos, l’abitudine della
sofferenza, parla Eschilo nell’Agamennone.
La confessione non è nei vangeli, né c’è
pentimento richiesto, Erasmo se lo disse con Lutero. Anche se l’esame di
coscienza frena e restringe la naturale turpitudine: ognuno ha un suo oracolo personale, come Senofonte sostiene in
difesa di Socrate, anche se non tutto è prevedibile, non è segnato né logico.
E
l’altro è nell’io, dice sant’Agostino nella Confessioni.
O è viceversa, che l’io è nell’altro? E la letteratura che c’entra? Quello che
s’intende per confessione, il sogno vigile, sono le insonnie. Più in quest’epoca di
celebrazione, dei “trenta gloriosi”, gli anni della Ricostruzione postbellica o
i giorni del maggio ’68 in Francia, in
memoriam, del prodotto interno lordo che cresce, ora di molto ora di poco,
e dell’abolizione del dolore. Non ce n’è più materia, da qui la inconsistenza,
il nulla.
È così che ora Dio è quello che non
parla. E si può solo scrivere a se stessi. La confessione è un’esibizione, il
dottor Freud va posto, pure lui, nel Krafft-Ebing. Si repertoria per non sapere
che fare.
Ma
l’ipotesi che Rousseau non avesse cinque figli in
orfanotrofio, per essere impotente, è notevole. O Casanova, l’altro grande
confessore. D’impotenza sospetta Casanova pure l’emulo Fellini, l’unica sua
traccia nel secolo restando la narrativa, godeva al pensiero, e le lettere di
cui fu autore e collettore a miriadi. Godere di se stessi porta all’inazione,
non è vita filosoficamente vissuta. Seppure saggia, si capisce quando viene a mancare.
Sì, passiva, un tempo si sarebbe detta femminea, blasée e snob, ma ci
vuole pazienza, oltre che generosità, stare ad ascoltare.
Il bene è impossibile. Se non si è poeti,
ai margini della storia. O eroi, o santi. Non se si è solo stanchi. Benché, dormitio
si dice la morte dei santi, dopo che hanno fatto i miracoli: il riposo è
attitudine mentale, una piega intima della personalità. Si direbbe un’arte. C’è
chi s’affatica dormendo. E ci sono eroi e santi muti.
Francofonia
–
Se ne celebra a Roma in realtà la scomparsa, improvvisa, radicale. Ancora una
generazione fa alla scuola media si insegnava il francese, che poi è svanito,
letteralmente. Si storpiano, inglesizzandole, le poche parole francesi di uso
comune, stage, dessert, dépliant. Nel 1950, sulla “Stampa” (l’articolo è ora in
“Scritti dispersi”) Corrado Alvaro, a lungo corrispondente negli anni 1920-1930
da Parigi, doveva registrare: “Sono lontani i tempi in cui mi sentivo domandare
da francesi se a Roma esistessero il tramvai e gli autobus”.
Libro
–
Ora che va (forse) a scomparire si celebra in tutte le forme, e più in quella,
in uso ancora nei primi ani 1960, anche
nei libri scolastici, delle “pagine da tagliare”. I primi giorni di scuola si
passavano a tagliare le pagine dei voluminosi volumi. In libreria l’acquisto
non era di soddisfazione: si chiedeva un titolo a un arcigno commesso dietro un
bancone, come ancora all’autoricambi o al ferramenta, e si aspettava che
tornasse col volume. Ma il piacere dell’acquisto quasi obbligato veniva
rinnovato una volta a casa dal taglio delle apgine, quasi una presa di
possesso. Con un tagliacarte, ora anch’esso scomparso, d’osso o metallo o
semplicemente con un coltello da cucina.
Le signore e i facoltosi invece si
facevano tagliare le pagine dai commessi di libreria. Prima della spedizione a casa
– le signore e i facoltosi non si portavano via i libri comprati, anche perché
usavano comprarli una volta a stagione, non uno per uno, e quindi erano spesso
numerosi. I fattorini della libreria glieli recapitavano a casa. Anche questo
ancora cinquant’anni fa.
Marx – È Jean Paul?
È un’idea: sardonico, sarcastico, rifondativo – uno che rimette tutto in causa,
“a maggior ragione” beninteso non per egotismo. Hartmut Retzlaff, direttore del Goethe Institut
a Roma, trova in Jean Paul tutto il primo Marx, che ne era gran lettore:
l’alienazione e il feticismo della merce, “i termini cardine della critica
delle merce nel primo volume del «Capitale»”. Molti studi sono stati fatti in
argomento, attesta Retzlaff (in appendice a Jean Paul, “Clavis fichtiana”). E
poi dopo: “L’uso metaforico delle Charaktermasken
(termine che origina nella Commedia dell’Arte), come parametro di una
sociologia dei ruoli ante litteram, e
il termine Fetichismus per descrivere
l’autoriduzione delle società evolute a un primitivismo percettivo, risultano
decisive per la sociologia del tardo Marx”.
Popolare – Sembra remota e lo è, la ricerca
del “popolare” nelle arti, la poesia, la musica – anche Giovanna Marini, l’ultima
ricercatrice, ha una certa età. La teorizzazione remotissima – benché, a
rileggerla, non rozza, anzi articolata, prudente. È mezzo secolo.
Ma il senso di remoto è pervasivo:
la Repubblica ha traversato molte storie, e non lo sa. Bisognerebbe rivangare
gli studi del “popolare” nel senso del reale, della realtà italiana.
Recensione
–
“Ricordo molti anni fa il disprezzo con cui Malraux mi disse di avere avuto in
Italia più recensioni alle sue opere che nella stessa Francia”. Il ricordo di
C.Alvaro è del 1950 (nell’articolo su citato), ma non peregrino: la recensione
non è arte italiana. O lo è in senso deteriore – senza la necessità peraltro di
leggere il libro.
Ricorda Alvaro di seguito: “Ho veduto
lettere di italiani a scrittori francesi piuttosto modesti, piene di tali
proteste di ammirazione, da suscitare nei destinatari il sospetto che si
trattasse di sentimenti morbosi”.
letterautore@antiit.eu
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