Gli
europeisti più convinti erano prudenti sulla moneta unica. Gli economisti – i “tecnici”.
Lo studio di Simona Ferrulli, che ne ha reso disponibile una sintesi sul “Ponte”
online, li mostra concordi:
“L’adesione
dell’Italia allo Sme chiamava in causa l’autorità e la credibilità non soltanto
di Governo e Parlamento, ma anche della Banca d’Italia. È forse per questo che
gli economisti di Via Nazionale furono tra coloro che mostrarono le maggiori
reticenze e perplessità nei confronti dell’adesione al nuovo accordo di cambio.
È questo il caso, per esempio, di Mario Monti e dello stesso Governatore
Paolo Baffi”. Monti esprese le sue riserve sul “Sole 24 Ore” del 5 dicembre 1978, Baffi in una audizione al Senato il 26 ottobre.
Monti e Baffi portavano motivazioni diverse, ma tutte critiche. Un’adesione prematura, secondo Monti, avrebbe reso più difficile, nelle parole di Simona Ferrulli, “la normalizzazione della politica economica interna”, e “agli occhi degli operatori economici, sia italiani che stranieri, sarebbe apparsa priva di credibilità”. Ilconcetto fu ribadito da Monti il giorno dopo il suo articolo, con una intervista al “Corriere della sera”.
“Baffi invece”, scrive la ricercatrice, “partiva dalla considerazione secondo cui, laddove non si fosse proceduto all’integrazione delle politiche comunitarie, l’intera costruzione dello Sme avrebbe avuto vita breve”. Lo scrisse su “Bancaria” n. 8, a settembre del 1978: “Ove infatti le politiche comunitarie e quelle dei singoli paesi non fossero convergenti verso l’obiettivo di rendere più omogenee le economie dei paesi membri, difficilmente gli accordi di cambio avrebbero lunga vita”.
Monti e Baffi portavano motivazioni diverse, ma tutte critiche. Un’adesione prematura, secondo Monti, avrebbe reso più difficile, nelle parole di Simona Ferrulli, “la normalizzazione della politica economica interna”, e “agli occhi degli operatori economici, sia italiani che stranieri, sarebbe apparsa priva di credibilità”. Ilconcetto fu ribadito da Monti il giorno dopo il suo articolo, con una intervista al “Corriere della sera”.
“Baffi invece”, scrive la ricercatrice, “partiva dalla considerazione secondo cui, laddove non si fosse proceduto all’integrazione delle politiche comunitarie, l’intera costruzione dello Sme avrebbe avuto vita breve”. Lo scrisse su “Bancaria” n. 8, a settembre del 1978: “Ove infatti le politiche comunitarie e quelle dei singoli paesi non fossero convergenti verso l’obiettivo di rendere più omogenee le economie dei paesi membri, difficilmente gli accordi di cambio avrebbero lunga vita”.
Ma c’è
di più, continua Ferrulli: “Baffi, che aveva la responsabilità ultima della
politica monetaria, era ben consapevole che, con un sistema di collocamento del
debito pubblico che vedeva la Banca d’Italia come acquirente residuale rispetto
al mercato, l’incentivo a un comportamento virtuoso del governo sarebbe stato
scarso e la Banca d’Italia si sarebbe trovata a difendere due obiettivi fra
loro incoerenti (sostegno del cambio e iniezione della liquidità)”.
All’interno
del Parlamento, “una posizione fortemente contraria fu assunta da Luigi
Spaventa, il quale riteneva che lo Sme avrebbe potuto diventare un’area di
deflazione e che, soprattutto in un paese come il nostro, caratterizzato da
arretratezze nello sviluppo economico e da accentuate differenze regionali,
l’adesione avrebbe garantito la stabilità del cambio ma questa sarebbe stata
pagata a prezzo di un più basso livello di sviluppo, di occupazione e di
reddito”. L’economista ora scomparso si può dire profeta. Nel governo fu
critico Rinaldo Ossola, ministro del Commercio con l’Estero, ex Banca d’Italia.
In conclusione non si tenne contro “del parere dei «tecnici»”. Per la considerazione
che “il processo d’integrazione europea avrebbe dovuto essere perseguito a
prescindere dai sacrifici” che esso imponeva al Paese.
Simona
Ferrulli, L’Italia e l’ingresso nello Sme: vincoli e opportunità di una
scelta difficile,
http://www.ilponterivista.com/article_view.php?intId=78
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