È la “vita”
di Brecht, sotto quella di Galileo, che si inscena. Brecht ci lavorò per vent’anni,
facendone tre storie diverse, con lunghe note esplicative (confluite negli
“Scritti teatrali”). Nella riedizione per il teatro si ripubblica la vecchia
introduzione di Emilio Castellani, il traduttore, che molto insiste sul fatto
autobiografico – corredandola con le note degli “Scritti teatrali”, su Galileo e su come la “Vita” va messa in scena. Nei
Tascabili si ripubblica l’edizione che Giuseppina Onet, ora traduttrice
dall’inglese, aveva approntato nel 1994,
confrontata con l’originale, con una lunga introduzione, e un apparto di note
molto esplicative, sopratutto al testo tedesco.
Nelle
note, Brecht celebra la straordinaria carica di energia dell’“epoca nuova”, che
l’eroe vuole ricercatore, pioniere, esploratore. Ma c’è nuovo e nuovo,
riflette: vecchissimo (reazionario, regressivo) è il modo nuovo di fare la
guerra. Siamo nel 1938, in Danimarca, sempre vicini al “fronte”, sono note alla
prima redazione della “Vita”: “Ormai è la barbarie stessa che si atteggia ad
epoca nuova”. Brecht è ancora “aiutato da alcuni assistenti di Niels Bohr, che
stavano studiando il problema della disintegrazione dell’atomo”. Dieci anni più
tardi, nel 1947 in America, la “cosa” è avvenuta anche tra gli scienziati:
siamo due anni dopo Hiroshima, con la segregazione, per la prima volta nella
storia, degli esiti della ricerca scientifica, la sua militarizzazione esclusiva,
e nel pieno della caccia alle streghe di MacCarthy, delle delazioni – Brecht
sfuggirà alla Commissione, lasciando gli Usa, il giorno della prima della “Vita
di Galilleo”, riscritta per tenere conto del tradimento degli intellettuali. Questa
versione sarà ricomposta con la prima, nel 1956, l’anno della morte di Brecht,
forse l’ultima sua fatica, e in questa terza riscrittura si rappresenta.
Nel 1938,
in esilio volontario da cinque anni, Brecht fece di Galileo l’eroe della
dissimulazione, il combattente segreto.
Nel 1947, dopo la Bomba, Galileo si autodenuncia, reo di tradimento
della scienza. Brecht era a Los Angeles, scrive nelle note, all’annuncio della
vittoria dopo Hiroshima: “La grande città si diede a manifestazioni di
stupefacente cordoglio. L’autore udì conducenti d’autobus e fruttivendole al
mercato non esprimere altro che sgomento. Era la vittoria, ma con l’ignominia
di una disfatta”. Aggravata dal segreto di cui scienziati e politici
circondarono “la gigantesca fonte di energia”. L’abiura di Galileo, ossia la
proposizione che la fede è separata dalla scienza, che “appare ragionevole”
agli scienziati, poiché consentì a Galileo di continuare il suo lavoro, Brecht
giudica una resa, per giunta opportunistica: “Egli punta il cannocchiale verso
le stelle e si consegna ai suoi torturatori”. La Bomba – la nota è del 1947
– è l’esito di questa separazione: Galileo è il predecessore di Openheimer e
Fuchs, gli scienziati che hanno tradito. E sua è la colpa, più che della
Chiesa: notevole è la reiterata avvertenza a registi a attori che il dramma non
è contro la Chiesa, semmai contro il potere, contro tutti i poteri, ma più è
sulla necessaria resistenza. Poi venne MacCarthy, e la fuga per non tradire. Seguita
da otto anni non eroici e anzi di cedimenti, di un Brecht libero a Berlino Est
di virtuosamente dissimulare. La terza redazione ripristinerà la dissimulazione
della prima, ma senza eroismo, con l’autodenuncia del tradimento, ed è quella
che si ripubblica.
L’introduzione
di Castellani, all’edizione del 1963, oggi suona ridicola: “Vita di Galileo è
anche una delle opere fondamentali della cultura del nostro secolo”, segnata
“dalle lotte dei popoli contro il fascismo, il colonialismo e il
neocapitalismo, dall’affermarsi di modelli di società socialiste, e dallo
spalancarsi di una paurosa frattura tra progresso tecnico e progresso sociale”.
Ma è vero che “in nessun altro lavoro brechtiano si assiste a una così ampia e
radicale dialettizzazione di un personaggio, a un così spregiudicato
rovesciamento e raddrizzamento di idoli”. Nella genesi e i continui
ripensamenti seguendo la storia personale di Brecht. Fino all’ultimo, si può
aggiungere: fino a quando Brecht a Berlino difese il partito Comunista – la Chiesa
- contro l’insurrezione operaia.
La
“Vita di Galileo” è la rappresentazione dei tradimenti intellettuali del Novecento. Brecht
la vuole emblematica. Della solitudine, e i cedimenti, dell’intellettuale. Non
sarà il personaggio storico che rappresenterete, avverte insistente, né la
Chiesa sarà la Chiesa storica. Nemmeno nella figura, curiosamente, del papa
persecutore, Urbano VIII Barberini, occultista e nepotista. L’inquisizione (Hitler, MacCarthy, Stalin) sta sullo sfondo, in scena si agitano
i fantasmi della scienza che tradisce i suoi presupposti, l’autonomia e la
libertà. A specchio degli ultimi vent’anni di Brecht, e del suo proprio
tradimento, comunista puro e duro col conto e il passaporto in Svizzera, per il
timore di Mosca. Oggi non ci sono tradimenti in vista degli intellettuali, non
che si dica – né ci sono inquisizioni che li richiedano, non che si dica. Ma la
“Vita di Galileo” è l’unica opera di Brecht in circolazione, per il teatro, per
i lettori, e ora anche per le scuole.
Bertolt
Brecht, Vita di Galileo, Einaudi Tascabili, pp. XXVI + 258 € 12
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