Erasmo – Un sornione patito dell’ordine,
tutto sommato, nella leva sterminata degli “Adagia”, nella stessa discussione con
Lutero sul libero arbitrio, e nel “Ciceronianus” che più non si cita. È forse il
destino di ogni rivoluzionario di farsi reazionario – pena l’estinzione certo,
propria.
Nel “Ciceronianus”, in polemica con i classicisti
formalisti, e poi con Pietro Bembo, vuole la mitologia classica eliminata dalle
lettere e il pensiero contemporanei in quanto germe di paganesimo e nemica
delle fede – che, arriva a dire, vive in virtù della sua propria verità.
Heidegger – Sarà il filosofo “bruciato”, che s’è
combusto? Ha pubblicato nel 1927 “Essere e tempo” incompleto rispetto al
progetto: le prime due parti della prima sezione, la quale si sarebbe dovuta
completare con una terza parte, “Tempo e essere”. Nel 1976, nella nota critica
a “Essere e tempo” della Opere complete, von Herrmann scrive che il “vero”
“Tempo e essere” era stato bruciato:
“Heidegger mi ha confidato a voce”, scrive pressappoco il curatore, “che il
vero «Essere e tempo» era stato scritto e poi bruciato”.
Potrebbe
essere un filosofo di “Wired”, del pensiero branché,
la contemporaneità che non si contesta. Nel suo “secondo periodo”, con la Kehre, la svolta, filosofò il linguaggio.
“Il linguaggio è la casa dell’essere, nella sua dimora abita l’uomo”, dirà più tardi,
1947, nella “Lettera sul’umanismo”. Ma con singolare insight individuando contemporaneamente, ne “L’amico di casa”,
1957, e nel successivo “Linguaggio e terra natia”, 1962, la debolezza della
contemporaneità (la crisi dell’Europa, la fine dell’umanesimo, la “fine della
storia”….). Per l’abuso linguistico, ancorché normativo, e l’usura delle parole:
“Nell’epoca attuale si porta al predominio
sempre più decisivo un altro rapporto con la lingua a causa della fretta e
della grossolanità del parlare e dello scrivere quotidiano. Perché noi crediamo
che anche la lingua, come tutte le altre cose quotidiane con cui abbiamo a che
fare, sia solo uno strumento e più precisamente lo strumento della
comunicazione e dell’informazione […]. L’idea della lingua come strumento di
informazione si spinge oggi fino all’estremo. Si ha una conoscenza di questo
processo ma non si pensa al suo senso […]. Il rapporto dell’uomo con la lingua
si sta trasformando in un modo la cui portata non possiamo comprendere ancora.
Il percorso di questa trasformazione non si può arrestare immediatamente ed
inoltre si svolge nel silenzio assoluto” (“L’amico di casa”, nella traduzione
di Francesca Sbrencia).
Il linguaggio non è più niente: “È trattato come un oggetto
manipolabile a cui la forma del pensiero deve adeguarsi”, dirà in appendice a “Fenomenologia
e Teologia”, 1964”.
Natura – È probabilmente letteraria
la sua lettura più propria. Si prenda la contesa a distanza tra Boileau e
Chateaubriand, apparentemente a proposito di retorica e romanticismo, di maniere
e volontarismo. Il genio del cristianesimo non gradiva la favolistica, la
mitologia, la poesia, se non quella estratta dal Vecchio Testamento - che s’ingegnò
a trovare e non trovò, eccetto il “Paradiso perduto” di Milton, che gravò di
un’introduzione più vasta del lunghissimo poema, e personalmente non vi si
applicò. E la natura diceva invece grande, grave, solitaria: “Bisogna compiangere
gli antichi, che non avevano trovato nell’Oceano nient’altro che il palazzo d
Nettuno e la grotta di Proteo; era duro non vedere altro se non le avventure
dei Tritoni e delle Nereidi nell’immensità dei mari, che a noi sembra dare una
misura confusa della grandezza della
nostra anima”. Boileau nell’“Arte poetica” aveva avuto ben altri argomenti, più
resistenti a distanza di tempo: nella favola “tutto assume un corpo, un’anima,
uno spirito, un volto,\ ogni Virtù diviene una Divinità…”
Riforme
– Sono
ora conservatrici se non reazionarie, il concetto di
è ribaltato. È l’equivoco indotto dalla
liberalizzazione – che è invece “statalizzazione senza Stato”, ossia
finanziamento pubblico a piè di lista e senza corrispettivo della finanza
privata.
Riforma s’intende la realizzazione pratica della rivoluzione, un moto
progressista, la realizzazione di una qualche forma di giustizia redistributiva, e in questo senso
innovativa. Ora s’intende l’efficienza, con implicita una serie di valori e
condizioni regressive. Una
redistribuzione regressiva all’insegna
del merito, la produttività, l’impegno (cottimo), il tempo lavoro incalcolato.
Suicidio - Quando Socrate fu suicidato, gli allievi gli
chiesero: “Che dobbiamo dire agli dei?” “Sacrificate un galletto ad Asclepio”,
rispose Socrate. Come a dire: muoio sereno. Ma era
stanco d’essere solo. O era, malgrado il witz, innamorato infelice: il
suicidio può essere estrema offerta d’amore, un sacrificio all’unione e alla
pace - la storia
si rinnova con la fame e l’amore, dice Schiller.
Ma poi tutto ha una fine, non si può complicare
troppo la storia: il suicidio è pratica antica, non dispiaccia a Durkheim e
Morselli, di prima
dell’età industriale. C’era in Oriente, rituale, e c’è: a maggior gloria di sé,
di vedove indiane o martiri d’Allah. E in Occidente quando finì la sicurezza
feudale, e la certezza della fede.
Per non dire del motivo contemporaneo
generalizzato: la
depressione, la vecchia malinconia. Che è una forma di follia, ma introiettata,
non aggressiva: ognuno è il suo proprio manicomio.
Il suicida, Emma Bovary per esempio, che è
morta donna ma poteva essere un uomo, poco prima di morire si dichiara santo,
orfano e vittima anche se non lo è.
zeulig@antiit.eu
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