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giovedì 13 marzo 2014

Secondi pensieri - 168

zeulig

Erasmo – Un sornione patito dell’ordine, tutto sommato, nella leva sterminata degli “Adagia”, nella stessa discussione con Lutero sul libero arbitrio, e nel “Ciceronianus” che più non si cita. È forse il destino di ogni rivoluzionario di farsi reazionario – pena l’estinzione certo, propria.
Nel “Ciceronianus”, in polemica con i classicisti formalisti, e poi con Pietro Bembo, vuole la mitologia classica eliminata dalle lettere e il pensiero contemporanei in quanto germe di paganesimo e nemica delle fede – che, arriva a dire, vive in virtù della sua propria verità.

Heidegger – Sarà il filosofo “bruciato”, che s’è combusto? Ha pubblicato nel 1927 “Essere e tempo” incompleto rispetto al progetto: le prime due parti della prima sezione, la quale si sarebbe dovuta completare con una terza parte, “Tempo e essere”. Nel 1976, nella nota critica a “Essere e tempo” della Opere complete, von Herrmann scrive che il “vero” “Tempo e essere”  era stato bruciato: “Heidegger mi ha confidato a voce”, scrive pressappoco il curatore, “che il vero «Essere e tempo» era stato scritto e poi bruciato”.   

Potrebbe essere un filosofo di “Wired”, del pensiero branché, la contemporaneità che non si contesta. Nel suo “secondo periodo”, con la Kehre, la svolta, filosofò il linguaggio. “Il linguaggio è la casa dell’essere, nella sua dimora abita l’uomo”, dirà più tardi, 1947, nella “Lettera sul’umanismo”. Ma con singolare insight individuando contemporaneamente, ne “L’amico di casa”, 1957, e nel successivo “Linguaggio e terra natia”, 1962, la debolezza della contemporaneità (la crisi dell’Europa, la fine dell’umanesimo, la “fine della storia”….). Per l’abuso linguistico, ancorché normativo, e l’usura delle parole: “Nell’epoca attuale si porta al predominio sempre più decisivo un altro rapporto con la lingua a causa della fretta e della grossolanità del parlare e dello scrivere quotidiano. Perché noi crediamo che anche la lingua, come tutte le altre cose quotidiane con cui abbiamo a che fare, sia solo uno strumento e più precisamente lo strumento della comunicazione e dell’informazione […]. L’idea della lingua come strumento di informazione si spinge oggi fino all’estremo. Si ha una conoscenza di questo processo ma non si pensa al suo senso […]. Il rapporto dell’uomo con la lingua si sta trasformando in un modo la cui portata non possiamo comprendere ancora. Il percorso di questa trasformazione non si può arrestare immediatamente ed inoltre si svolge nel silenzio assoluto” (“L’amico di casa”, nella traduzione di Francesca Sbrencia).
Il linguaggio non è più niente: “È trattato come un oggetto manipolabile a cui la forma del pensiero deve adeguarsi”, dirà in appendice a “Fenomenologia e Teologia”, 1964”.

Natura – È probabilmente letteraria la sua lettura più propria. Si prenda la contesa a distanza tra Boileau e Chateaubriand, apparentemente a proposito di retorica e romanticismo, di maniere e volontarismo. Il genio del cristianesimo non gradiva la favolistica, la mitologia, la poesia, se non quella estratta dal Vecchio Testamento - che s’ingegnò a trovare e non trovò, eccetto il “Paradiso perduto” di Milton, che gravò di un’introduzione più vasta del lunghissimo poema, e personalmente non vi si applicò. E la natura diceva invece grande, grave, solitaria: “Bisogna compiangere gli antichi, che non avevano trovato nell’Oceano nient’altro che il palazzo d Nettuno e la grotta di Proteo; era duro non vedere altro se non le avventure dei Tritoni e delle Nereidi nell’immensità dei mari, che a noi sembra dare una misura confusa della grandezza  della nostra anima”. Boileau nell’“Arte poetica” aveva avuto ben altri argomenti, più resistenti a distanza di tempo: nella favola “tutto assume un corpo, un’anima, uno spirito, un volto,\ ogni Virtù diviene una Divinità…”

Riforme – Sono ora conservatrici se non reazionarie, il concetto di è ribaltato. È l’equivoco indotto dalla liberalizzazione – che è invece statalizzazione senza Stato”, ossia finanziamento pubblico a piè di lista e senza corrispettivo della finanza privata. Riforma s’intende la realizzazione pratica della rivoluzione, un moto progressista, la realizzazione di una qualche forma di giustizia redistributiva, e in questo senso innovativa. Ora s’intende l’efficienza, con implicita una serie di valori e condizioni regressive. Una redistribuzione regressiva allinsegna del merito, la produttività, l’impegno (cottimo), il tempo lavoro incalcolato.

Suicidio - Quando Socrate fu suicidato, gli allievi gli chiesero: “Che dobbiamo dire agli dei?” “Sacrificate un galletto ad Asclepio”, rispose Socrate. Come a dire: muoio sereno. Ma era stanco d’essere solo. O era, malgrado il witz, innamorato infelice: il suicidio può essere estrema offerta d’amore, un sacrificio all’unione e alla pace - la storia si rinnova con la fame e l’amore, dice Schiller.

Ma poi tutto ha una fine, non si può complicare troppo la storia: il suicidio è pratica antica, non dispiaccia a Durkheim e Morselli, di prima dell’età industriale. C’era in Oriente, rituale, e c’è: a maggior gloria di sé, di vedove indiane o martiri d’Allah. E in Occidente quando finì la sicurezza feudale, e la certezza della fede.
Per non dire del motivo contemporaneo generalizzato: la depressione, la vecchia malinconia. Che è una forma di follia, ma introiettata, non aggressiva: ognuno è il suo proprio manicomio.

Il suicida, Emma Bovary per esempio, che è morta donna ma poteva essere un uomo, poco prima di morire si dichiara santo, orfano e vittima anche se non lo è.

Enrico (VII) Hohenstaufen si lasciò morire a Martirano, dove Casanova sarebbe andato garzone, in provincia di Catanzaro, lanciandosi da un dirupo, massiccio com’era, dopo avere combattuto una vita il padre Federico II nel nome della libertà, alleato della Lega Lombarda, dei principi tedeschi e di ogni altro ribelle, un padre che aveva una ventina di figli, da tredici madre diverse, di cui sei anonime – Enrico lo Sciancato, anche gli epiteti hanno una ragione, per distinguerlo da Enrico lo Zoppo, che fu imperatore e santo. Otto Rahn, entrato in guerra contro cristiani ed ebrei insieme, dopo aver scoperto i Catari, il Graal, e con essi e Hitler i campi di concentramento, che diresse a Dachau e Buchenwald, s’inoltrò a marzo del ‘39 per un sentiero alpino al sopravvenire di una tempesta, e lì fu trovato congelato, tenuto su dal mantello contro un albero. In Cecoslovacchia invece s’impiccavano, nel bosco. Generali, giudici, alti funzionari, tutti in età, con l’incomodo di portarsi dietro una scala, o ascendere alcuni metri un grosso albero per arrivare a un ramo abbastanza alto, e nella scomoda posizione preparare il nodo scorsoio, prima d’infilarvi dentro la testa e tuffarsi. Ma quello è un altro genere di suicidio, rivoluzionario: veniva più comodo dell’omicidio – senza contare che qualcuno ci credeva.

zeulig@antiit.eu

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