Erotismo – È stato legato al bigottismo, ma non
abbastanza. Non c’è epoca in cui l’erotismo sia stato coltivato come nell’epoca
vittoriana, del moralismo più bigotto. Nelle lettere, la poesia e la pittura.
La mostra romana “Alma-Tadema e i pittori dell’Ottocento inglese”, del secondo
Ottocento, è una lunga affollatissima passeggiata erotica, di corpi soprattutto
femminili ma anche maschili, in un riverbero costante di allusioni – sguardi,
colori, “odori”, cromatismi, e fiori
insinuanti, per forma, emblema, varietà. Il repertorio di Steven Marcus si
trascura, che invece è pieno di riferimenti. Per finire con Wilde, Frank Harris,
due irlandesi, è vero, e Beardsley.
Heidegger – È marxista.
Anche, senza dubbio. “Così Lutero si
travestì da apostolo Paolo”: Marx nel Diciotto
brumaio lo dice delle rivoluzioni che
si cercano nel passato, ma questo è Heidegger. Nel senso più nobile di Marx:
“Il principiante che ha imparato una lingua nuova la ritraduce continuamente
nella sua lingua materna, ma non riesce a possederne lo spirito e ad esprimersi
liberamente se non quando in essa si muove senza reminiscenze, dimenticando in
essa la lingua d’origine”. Il Filosofo Secondo, dopo Platone, è dunque
marxista, magari incognito.
Si
vuole Marx economista e agitatore e non filosofo. E invece lo è, sotto forma di
Heidegger, il primo marxista: i tedeschi della rivoluzione conservatrice, che
Marx abominavano, se ne sono appropriati i criteri e gli obiettivi, anche se
solo in funzione antiliberale. Marx fu economista fantasioso, essendo
autodidatta, e politico mediocre, litigioso, invidioso. Il nodo è il corpo, la
materia, il mondo. È l’estraneità dell’essere quale è, materiale, che ha
nutrito la borghesia, e la chiesa oggi borghese, e le fa ipocrite, quindi
stupide. Già in questo senso il nazismo è marxista. Per essere, come si sa,
biologico. Per la percezione del corpo in quanto eredità, sangue, passato che
non passa, con tutto ciò che questo implica di fatale, quindi obbligato. Un
Diamat ematologico. Chiunque enunci un affrancamento dalla fisicità senza
coinvolgerla tradisce e abiura, è il nemico.
Lo stesso antiumanesimo che Heidegger
dichiara è il Diamat. E il popolo, col popolare? L’insistenza sul völkisch,
volumi di völkisch, il principio v., l’essenza v., lo
spirito v., la voce v., la scuola v., la gioventù v.,
durante e dopo Hitler, e prima? Una riscrittura di Marx, l’“ebreo tedesco” di
Bakunin, la Prima Internazionale fu rissosa. Mimetizzata ovviamente: il
Filosofo Bino, o Trino, considerando il suo agostinianismo (o scolasticismo?),
si immagina in tuta mimetica, mani e viso al nerofumo, anfibi, ninja del popolo, che nottetempo semina
di mine il campo ostile. Il bolscevismo è “una possibilità europea”, disse
chiaro, è Europa, “l’emergere delle masse, l’industria, la tecnica, l’estinzione
del cristianesimo”.
Ne sapeva pure la natura, poiché è
ereditaria: “Se il dominio della ragione come eguaglianza non è che la
conseguenza del cristianesimo, e questo è fondamentalmente d’origine ebraica,
il bolscevismo è di fatto ebraico, e il cristianesimo è anche esso
fondamentalmente bolscevico!”. Una genealogia, ebraismo, cristianesimo,
bolscevismo, lusinghiera e non ingiuriosa, perché?
I tedeschi sono traumatizzati dai russi
più che da Hitler – lo sono stati a lungo, e i qualche misura lo sono. Ma
Heidegger uno spiraglio aveva aperto, tramite Marx. È vero che lui non è un ideologo,
è anzi pragmatico, il genere “se un po’ di Marx serve, perché no” – un po’ di
razzismo, un po’ di antisemitismo (di amerikanismo no, perché significa
liberalismo, e questo è inammissibile, l’Impolitico Mann è politicissimo). Al
bolscevismo.
I russi no, ma il bolscevismo è biblico:
il comunismo non è un fatto “politico” o “sociologico” o “metafisico, è “un
destino dell’esistente nella sua totalità, che segue il compimento dell’età
storica e con questo la fine della metafisica”. Con il messianismo, checché
voglia dire: l’estenuante battaglia sul Führer, il Capo, il Condottiero,
il carismatico, l’unto, è invidia o nostalgia del Piccolo Padre, che altro?
Marx del resto è Napoleone, seppure con la ghigliottina di Robespierre.
Ma
l’identificazione più sottile è quella individuata da Hannah Arendt, anche se
Heidegger non ne apprezza la filosofia: “Il pragmatismo, anche marxista e
leninista, muove dal presupposto, comune a tutta la tradizione occidentale, che
la realtà riveli all’uomo la verità, il totalitarismo presuppone solo la
validità delle leggi del divenire”. Dell’esistere, senza leggi.
Un’identificazione da intendersi, naturalmente, come sorpassamento. Le idealità
e incertezze delle società fondate sulla volontà libera degli associati sono
false e ostili. Ogni forma associativa, ogni appartenenza, che sia di tipo
razionale e politico oppure consuetudinario e mistico, che non si fondi su una
comunione fisica, d’interessi e di determinazioni materiali, è ostile. E
tuttavia – ecco Marx e Heidegger uniti nella lotta - la mia verità è la verità.
E deve fondare un mondo nuovo: la rivoluzione dei fatti discende dalla
rivoluzione delle idee, a esse il mondo va conformato. La verità è
conquistatrice. Gli uomini non sono inchiodati all’Ente nella soddisfazione dei
bisogni vitali, non sono rassegnati.
Essere
e avere non è solo un titolo di Gabriel Marcel, se essere è avere. L’essere è
se stesso: storia, classe e Volk-corpo
sociale. La fisicità è l’eterno incomodo del pensiero occidentale, da Kant, e
gli altri scozzesi liberali, ai padri della chiesa. La fisicità eleva e
razionalizza il possesso. E la morte che viene in primo piano esorcizza la
violenza, in quanto rivoluzionaria. Si può fare un Heidegger e Marx, il materiale non manca, come sempre nella
filosofia tedesca, e lui non protesterà. Non dirà mai che non ha letto Marx,
avrebbe dovuto?, dopo la guerra accettava tutto – pur di non ammettere la
Colpa: la sua idea di filosofo è il santone, uno che mai sbaglia. Qui e là la
mobilitazione è totale, si aderisce alla storia con tutto l’essere.
Io
-
L’altro è nell’io, dice sant’Agostino
nella “Confessioni”. O è viceversa, che l’io è nell’altro?
C’è ambivalenza, ma la proprietà
transitiva attiva è anche passiva.
Marx – È Napoleone.
Pensa cone Napoleone più che come Hegel: semplifica la storia perché vuole
farsene una. Rilancia, sul supporto di Hegel e della storia rivelazione,
l’unicità della Rivoluzione francese nel senso della compattezza, e anzi della
monoliticità. Che è come la Rivoluzione si presentò nel mondo, ma questo a
opera di Napoleone, della conquista napoleonica. La Rivoluzione fu episodica,
si sa, e frammentata: mozioni confuse, assemblee vaganti, strane peripezie dei
protagonisti, che sono tanti e nessuno, la violenza della plebe a Parigi, il
silenzio del popolo in Francia, le restaurazioni. Ci furono semmai tante
rivoluzioni, insieme e in successione. Napoleone ne fissò il nome, che non
vuole dire nulla.
Suicidio - I serpenti a sonagli non si suicidano, si dice nel Mississippi. Solo l’uomo si
uccide, si sa, ci si uccide solo per problemi umani. Anzitutto per amore, o
“sfinimento da dolci languori” direbbe Balzac. Anzi, se per uccidersi bastasse
il desiderio, si è sempre detto, non sarebbe più vivo nessuno. Baudelaire,
formidabile creativo, ogni tanto si dava una pugnalata. Salgari si suicidò, lo
scrittore più letto dagli italiani, autore di ottanta romanzi e centottanta
racconti a quarant’anni, per ritenersi un fallito. Seguito a quarantadue da
Pavese, di cui però nessuna s’innamorava. A quarant’anni Strindberg ne ebbe la
tentazione per “l’imponente mole delle letture”, ricavandone un’autobiografia
in quattro libri. Johann Heinrich Merck, mentore di Goethe giovane, cui ispirò
Mefistofele, si uccise ai cinquant’anni, senza turbare il poeta. Gli umanisti
si uccidevano per celebrare le virtù di Roma repubblicana. Il conte di
Chignolo, Luigi Cusani, s’inventò morto per sfuggire ai creditori. La volontà
di vivere può vincere attraverso i
preparativi pratici necessari, sempre troppi per l’ignavo.
Non
c’erano suicidi nei lager, sostiene
Primo Levi. C’erano. Ma tra chi s’era arreso, è vero, essendo già morto dentro.
zeulig@antiit.eu
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