Coincidenze – “Sembra
incredibile che Kierkegaard e Marx siano nati il medesimo giorno, il 5 maggio;
il danese 200 anni or sono, un paio di settimane prima di Richard Wagner, con
cui condivise una profonda passione per il Don Giovanni di Mozart”, Marino Freschi
si diverte a sottolineare le coincidenze, con borgesiana inquietudine,
trattandosi dei fondamenti della contemporaneità. Borges ha fatto delle
coincidenze un’arte (un espediente narrativo) e anche la filosofia, anzi una
teologia. Le coincidenze sono casuali: imprevedibili e, le più, insignificanti.
E tuttavia sono “indicative”, parte quindi del linguaggio: hanno una pregnanza,
che non è solo l’eccezionalità (una sfida al calcolo delle probabilità, come la
“smorfia” al lotto). Sono un riconoscimento. Più ferace, meno pretestuoso,
dell’agnizione, o della sparizione. Come la temperie, che anch’essa è fatto
sfuggente, e tuttavia reale.
Geografia
– Si scopre
Benidorm “New York del mediterraneo”. Un centinaio di grattacieli che guardano
uno spicchio di mare sulla
costa catalana,
di mini appartamenti per turisti e pensionati del Nord Europa, dove
si favoleggiava un posto remoto - un Tiburtino Terzo a mare. Ricordo d’infanzia, di “Calabuig”, il
film di Berlanga del 1956 – il dolcissimo passo d’addio di Edmund
Gwenn, con Valentina Cortese, Juan Calvo e Franco Fabrizi. Sulla vita semplice di un paese di pescatori, dove un
vecchio scienziato atomico si è rifugiato oppresso dai sensi di colpa. Per essere infine
scoperto - e “risequestrato” da un’intera flotta, proveniente forse da Benidorm – per le foto degli eccezionali fuochi d’artificio di cui, forte della
sua scienza, ha voluto omaggiare i recenti compaesani. Già la geografia economica disconnette
o manda in tilt la memoria, la tradizione.
Non irrilevante, peraltro, per la storia. Per esempio in questa epoca di crisi economica: la cementificazione del litorale è stata fatta con grandi sprechi delle banche tedesche, che poi noi abbiamo pagato, per la pensioni dei popoli germanici.
Non irrilevante, peraltro, per la storia. Per esempio in questa epoca di crisi economica: la cementificazione del litorale è stata fatta con grandi sprechi delle banche tedesche, che poi noi abbiamo pagato, per la pensioni dei popoli germanici.
Heidegger – Ha fatto la filosofia dei sentimenti, i desideri
e le passioni, nell’aridità emotiva: uno che non ha amato mai nessuno. Molte
lettere ha scritto, a molte donne. Che solo concupiva, a letto. Ultimativo,
violento, di cui non si conosce una confidenza con la moglie di una vita, a
parte la complicità nel non detto. Mai un’affettuosità per i figli che in casa
con lui crescevano. Di cui uno peraltro non era suo, pur in costanza di
matrimonio: mai nemmeno un rifiuto, solo indifferenza.
Oltre
che nazista si conferma antisemita - nei quaderni che ha voluto postumi a 50
anni. Pregiudizio che nascose più degli altri, specie con Hannah Arendt, sua
salvatrice nel dopoguerra, letteralmente, nella considerazione e negli studi
oltre che nella piccola carriera di posti e pensioni, dopo esserne stata
l’amante giovanissima seppure non più vergine. Come Wagner - che però forse non
sarebbe stato nazista. Sono antisemiti i due pilastri dell’intellettualità
ebraica, che ad essi non saprebbe rinunciare, e anzi li magnifica malgrado
tutto. Bisogna “liberare” l’antisemitismo?
È
storico della non-storia. Che dice Heidegger? Il comune essere storico è uno
smarrimento di sé nell’ambito di ciò che è storico: la non-storia. Un tale
smarrimento del nostro essere è necessario alla storia. L’essere storico è una
costante sempre nuova scelta tra la non-storia e la storia nella quale siamo.
Entrare nella storia non significa entrare nel passato. Se un popolo entra nella
storia, entra nel futuro. Se esce dalla storia non ha più futuro. Esso entra
nella storia (passato) nella misura in cui esce dalla storia (futuro). La
possibilità di accesso alla storia si fonda sulla possibilità che un presente
sappia sempre essere-per-il-futuro. Ciò che “ha una storia” è coinvolto nel
divenire. È nell’essere-per-l’avvenire che l’esserci
è il passato.
Lo dice e lo ripete: “La possibilità di
accedere alla storia si fonda sulla possibilità che un presente sappia essere
di volta in volta futuro”. È a partire dal presente che si fa entrare nel conto
il passato, e in vista di ciò che è presente. È per esso che si pianifica il
futuro: “Quando girano le eliche di un velivolo non accade propriamente nulla. Ma se il
velivolo porta Hitler da Mussolini, allora accade la storia. Il volo diventa
storia. La storia è cosa rara” – c’è nel Burney un Mr Heidegger a Londra: cantante
d’opera?
“Lena e Leonce”, sgraziato titolo dell’ottimo
Büchner, dà per ultimo la ricetta giusta: “Ci stenderemo all’ombra e pregheremo
Dio di darci maccheroni, meloni e fichi, ugole melodiose, corpi classicamente
modellati e una religione comoda”. Heidegger, che sembrava aver liquidato la
vicenda con l’inevitabile tributo tribale, “la storicità autentica è
l’essere-per-la-morte”, in lungo e in largo vuole altrimenti: “La storia è il
tratto specifico dell’uomo? Pure i negri sono uomini, ma non hanno una storia.
Anche la natura ha la sua storia? Ma allora anche i negri hanno una storia. Non
tutto ciò che trascorre entra nella storia”. Per il demonismo del profeta. O
connesso alla H, cui si devono pure Hitler e la Bomba.
Online – La “rete” è breve, nelle
chat, le mail, i messaggi, gli stessi blog, dev’essere brevissima, e questo la
connota come un limite. Per contagio dalla messaggistica cellulare, in
parallelo con la quale è nata e si è sviluppata. E per il “mezzo”,
l’elettronica a impulso immediato. Con lo schermo ridotto, sempre più, ora alla
dimensione smartphone. Dev’essere quindi paradossale, epigrammatica, furba, e
non ragionevole – consequenziale, deduttiva. Il più versatile dei “mezzi”, il
kindle, non dà ancora l’impressione di “possedere” il testo che si legge, come
la dà il cartaceo.
La grafica dei giornali online, che concentra
la lettura in poche righe, va incontro a questa esigenza di rapidità. Ma senza
esaurirla, e con un netto senso di perdita. La rapidità, al contrario della
lentezza, mangia se stessa invece di nutrirsi.
Forse la comunicazione online non può essere
che rapida, il vecchio flash di agenzia. E quindi con uno scopo limitato:
l’anticipazione, l’annuncio, la suggestione. Lasciando invece il “testo” alla
conversazione, alla scrittura.
Suicidio - Il
suicida di Borges è molto peno di sé, che dice: “Lascio il nulla a nessuno”. Pavese
invece i suicidi dice “omicidi timidi”, masochisti più che sadici, cui mai
difetta una ragione per uccidersi. Che sembra una bizzarria, e lo è: Emma
Bovary ne è il modello, benché per uccidersi scelga il cafarnao, scortata dal
commesso, e si ingozzi d’arsenico ma di quello per i topi, per un’agonia lenta
che porti al suo capezzale tutti i colpevoli, dopo aver scritto: “Non s’accusi
nessuno”. Pavese s’innamorava delle donne che irritava, la bella Tina Pizzardo,
Fernanda Pivano, che ha dovuto censurarne le lettere, Constance Dowling. Sarà
stata dura con Fernanda, che allora traduceva Jeanne Hersch, ma è dura sempre
con chi non ti vuole, il sentimento vuol essere caldo. Solo col Buddha
delle origini del resto non si fa: “Chi prende l’estinzione come estinzione, e
presa l’estinzione come estinzione pensa all’estinzione, pensa sulla
estinzione, pensa «mia è l’estinzione» e si rallegra dell’estinzione, costui,
io dico, non conosce l’estinzione”. Checché voglia dire.
La Colpa
è in realtà di tutti, tedeschi e non, per essere morti dentro, la “colpa
metafisica” di Jaspers non è tanto metafisica. Personalmente il suicida può
pensare, come John Donne in un momento brutto per la carriera: “Possiedo le
chiavi della mia prigione”. Scriverci sopra, anche, un trattato, come il decano
di Saint Paul – un Biathanatos che
non è una morte doppia ma una sorta di morte vissuta: “Questo peccato non è
irremissibile”. Ma non è questione di peccato, nessuno lo crede più, neanche la
chiesa. I deportati si uccidono per non poter essere come gli altri, chi li ha
deportati, chi ha assistito indifferente. Basta poco, a volte. Per Minosse i
suicidi sono semi, che danno un albero. Non fosse che Dante,
che di questa semina s’è appropriato, l’ha resa ostica in un incastro di
ingiusto-giusto, e di doppio senso del disdegno, tra onore e disonore.
Certo è che il suicidio inizia con Werther,
anzi col gesuita Robeck che l’anticipò con un’Exercitatio, ma c’era prima. Era usuale tra i cinesi in difficoltà, spiega
Matteo Ricci. Sant’Agostino lo consiglia, e l’Ecclesiaste naturalmente: “Meglio la morte che una vita dura”.
Viceversa, attesta la signora Angela Fusco di Napoli, alla quale era stato
diagnosticato un tumore e per questo ha tentato tre volte invano il suicidio:
“Sono resuscitata e felice”.
zeulig@antiit.eu
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