lunedì 24 marzo 2014

Camilleri antisemita – o è Eileen Romano

È la storia di “Flavio Mitridate”, l’ebreo siciliano convertito “Guglielmo Raimondo Moncada, nome del suo nobile padrino di battesimo, nato ad Agrigento – o a Caltabellotta - a metà Quattrocento. Figlio di rabbino, si convertì presto e nel 1477 era già a Roma, affascinando per le sue conoscenze cabbalitsiche e delle lingue semitiche il papa Sisto IV e il futuro Innocenzo VII, e a Urbino Federico di Montefeltro. Nel 1482 risulta professore di teologia alla Sapienza. Due anni dopo era a Colonia, maestro di Johannes Reuchlin, e a Lovanio. Invitato nel 1486 da Giovanni Pico della Mirandola, fu a Perugia e a Fratta, maestro di ebraico e caldaico, e di cabala. Non propriamente un filibustiere, e anzi un uomo di cultura.
Camilleri fa scorrere e leggere la storia, ma scrive trascurato, perfino scurrile. E la infioretta di suo: di Flavio Mitridate fa un imbroglione violento, cabalista scettico, pedofilo e stupratore (“il suo dolore è il mio piacere” è sua temurah preferita), ladro, traditore di tutti, assassino, ogni insulto va bene. Lasciando nel lettore, poiché il personaggio è storico e noto, il gusto acido del falso. A rischio di antisemitismo. Non ce n’è motivo con Camilleri – che peraltro può contare su molti scrittori ebrei che si pregiano di demistificare falsi profeti, anche non convertiti (nonché sulla voga di considerare ogni ebreo cristiano un dissimulatore a fini di guadagno). Ma ce nè a ogni pagina. E non c’è altra ragione per questa resurrezione, se non un succès de scandale: l’antisemitismo è – era – sempre a fin di bene, e Camilleri non se ne fa mancare nessuno degli stereotipi. Sicilianamente, anche i terricoli non sono da meno, non c’è giorno che non facciano un pogrom nelle giudecche dei loro paesi. Ma l’ebreo, seppure tarato dalla conversione, è sempre più cattivo del priore o vescovo più cattivo.
A metà narrazione Camilleri interpola un paio di pagine di Sciascia sullo stesso soggetto, un quasi inedito (“La faccia ferina dell’Umanesimo”) che gli ha dato l’idea del racconto, ed è tutta un’altra storia.
È anche la quinta o sesta prova narrativa di Camilleri su traccia e indicazione di un forte editor, Eileen Romano, redattore e editore insieme. Un caso ancora più singolare che l’antisemitismo a fin di bene. Corrente nel mondo anglosassone, basti ricordare i contributi di Susannah Clapp sui testi di Chatwin, o di Ezra Pound su Joyce e l’“Ulisse”, il ruolo dell’editor in Italia è nuovo e ancora marginale (l’unico precedente presumibile è il “Gomorra” di Saviano). Per Camilleri è invece centrale, che prima di Eileen Romano ha avuto un altro forte editor, Elvira Sellerio. È l’aspetto più apprezzabile della storia.
Andrea Camilleri, Inseguendo un’ombra, Sellerio, pp. 210 € 14

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