Singolare
coincidenza, di rileggere due libri dello steso autore sullo stesso argomento in
sequenza. Singolare “prova bianco”, di un testo di seicento dense pagine confrontato
con uno che racconta le stesse cose trent’anni più tardi in sessanta pagine
spaziate. Quello scritto, questo dettato. Quello pieno di figure e punti di
vista, questo diritto al punto. E tanto più vero, accattivante, memorabile: la “Lettera
a mia madre” non è la decima parte di questo “Pedigree”, e tuttavia dice tanto
di più. Il tema è il rapporto di Simenon con la madre, una persona infelice che
rende infelici tutti.
Questo “Pedigree”
è anche di lunghezza insolita per Simenon, scrittore sveltissimo. Messo giù in
due grossi tomi durante la guerra, nel 1941 e nel 1942. Senza condiscendenza
per i tedeschi occupanti – Simenon sarà sospetto di collaborazionismo. E per i
pregiudizi, contro l’ebreo, contro il fiammingo, contro il ricco, contro il
povero: i pregiudizi sono rappresentati vivi, e poi tranquillamente cassati. È anche
un racconto storico o di costume: pullula, attorno all’amore-odio per la madre,
di personaggi e situazioni non memorabili, nonni, zie, zii, cugine, cugini, messe.,
sacrestie, collegi, preti, amoretti in vacanza, ragazzine che sanno tutto e
fanno tutto. Una rappresentazione minuta della “gente minuta” che Simenon dirà
nella “Lettera alla madre” essere la sua, quella nella quale si riconosce, con
orgoglio.
Lo stesso
Simenon dirà il lungo racconto non simenoniano, nella prefazione all’edizione
1957: “«Pedigree» non è stato scritto nello stesso modo, è nelle stesse
circostanze, né nelle stesse intenzioni degli altri miei romanzi, ed è senza
dubbio per questo che costituisce un isolotto nella mia produzione”. È invece una
forte prova narrativa, la prova del nove che Simenon si legge perché sa
scrivere. Nel solco di Dumas – di cui si rappresenta cultore a 17 anni in un
dei ritratti più gustosi, il libraio che odiava il suo giovane commesso perché
s’intendeva di libri.
Georges
Simenon, Pedigree
Nessun commento:
Posta un commento