Le elezioni
europee saranno una kermesse antieuropea - era ed è nei fatti, anche prima
delle elezioni francesi (Grillo non fa che adeguarsi, come al solito, ai fatti). Che il presidente Napolitano non trovi di meglio della pace per difendere la Unione Europea la dice tutto sullo stato della stessa Unione.
Il disincanto è un fatto politico ormai radicato, non è un episodico voto di protesta. Né si può
dire genericamente populismo. È la reazione di chi soffre una crisi durissima,
dietro lo sciocchezzaio dei media, da ormai sette anni, senza soluzione.
Indotta dall’Unione Europea, che non ha saputo governare né punire la speculazione,
anche delle sue banche, e ha imposto la recessione con le politiche restrittive.
I primi paesi europeisti,
e tra essi almeno due di peso, demografico e politico, la Francia e l’Italia,
hanno un’opinione antieuropea che assomma a un terzo dell’elettorato. Se Renzi
riuscirà a coagulare il consenso tra due mesi, il voto antieuropeo potrà essere
contenuto. Ma in partenza è già sopra il 33 per cento, assommando a Grillo la
Lega e molti berlusconiani. In particolare delle province che più sono legate
all’economia europea e quindi più soffrono dell’attuale stallo, la Lombardia,
il Triveneto, e da ultimo anche l’Emilia. Se si somma al voto antieuropeo l’astensione,
e la critica radicale di sinistra e destra, siamo probabilmente a un elettore
contrario su due.
Molto
significative sono per altro verso le perplessità della sinistra, con l’adesione
a Syriza, il movimento critico di Alexis Tsipras, di molti intellettuali. Tra essi
fa specie il nome di Barbara Spinelli, di cui forse non si può dire ci sia
europeista pure più convinto e avvertito. Questo è l’effetto di un’altra
singolarità della crisi e del risentimento europeo: l’Italia è l’unico paese,
tolte le ex democrazie popolari ora germanizzate, dove non ci si interroga
sulla Ue. Come se fosse proibito. Anche se è in Italia che la crisi è più
grave.
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