“Tra gli
antichissimi volti” che lo “tormentano”, lo scrittore argentino Borges ha “il
Nord con i suoi innocenti acciai,\ atroci nell’aurora e nel tramonto”. Un lapsus
(Borges si vuole iperboreo)? No - semmai del traduttore: Borges ha “tres muy antiguas caras me desvelan”,
mi svelano, mi manifestano. Ma le albe e
i tramonti d’acciaio del suo Nord vuole ben “ignorantes y atroces”, più che “innocenti”.
Piscopio, il
sobborgo di Vibo Valentia da cui origina la famiglia del padre, Scalfari lo
vede semi-feudale – che non è, non è mai stato. Il Sud è terra incognita ai
più.
Napoli era
la Germania
A conclusione di “A unified Italy? Sovereign
debt and investor scepticism”, il capitolo della sua ricerca su “Sovereign Bonds: Odious Debts and State Succession”, dove
Stéphanie Collet analizza “il caso storicamente più prossimo dell’emissione di un
debito sovrano di uno Stato unitario” in sostituzione di quelli degli Stati
membri, Napoli viene avvicinata alla Germania.
Il Regno napoletano o delle Due Sicilie aveva all’unificazione
la metà del debito del Piemonte e la tassazione più bassa fra tutti gli stati
italiani. “Possiamo fare un paragone tra Napoli e la Germania”, scrive la
storica dell’economia: “Come Napoli prima dell’integrazione unitaria dei debiti
sovrani degli stati italiani, la maggiore economia dell’eurozona beneficia dei
più bassi costi d’indebitamento sovrano. Napoli sperimentò un forte incremento
nel costo dell’indebitamento in prossimità dell’integrazione.... Questo
significa che la Germania perderebbe il rating «ottimo» se gli eurobond fossero
introdotti”.
Il bilancio diventò del tutto italiano, unificato e posto sotto
controllo unitario, solo nel 1872. Fino ad allora, rileva lo studio “Warfare,
Taxation and Political Change: Evidence from the Italian Risorgimento”, di Dincecco,
Federico e Vindigni, la fiscalità media pro capite era in Piemonte più alta del
20 per cento che negli stati del papa, ed era quasi il triplo delle entrate
fiscali pro capite del Lombardo-Veneto.
Galantuomini
“È un calabrese, ma galantuomo”. Lo ricorda
Scalfari, calabrese peraltro suo malgrado, in “Racconto autobiografico”. Era il
giudizio, inteso positivo, del suocero Giulio de Benedetti, il direttore della
“Stampa”, all’Avvocato Agnelli, per invogliarlo a parlare con lo stesso
Scalfari. A metterlo a parte dei suoi crucci.
Il cruccio dell’Avvocato erano gli attacchi
dell’“Espresso” di Scalfari a Segni e Moro per il “piano Solo”, il progetto di
golpe – siamo negli anni 1960. “L’Espresso” era di proprietà di Carlo
Caracciolo, cognato dell’Avvocato, e la Dc imputava gli attacchi a lui,
all’Avvocato stesso. Che stava lavorandosi la Dc per impedire all’Alfa Romeo,
allora di proprietà pubblica, di investire nell’Alfa Sud.
Poi l’Alfa Sud fu realizzata, ma per piccoli
volumi, come voleva l’Avvocato.
Sicilia
Si vada “rovistando”, insinua Arbasino dal
castello di Chatilly, “dove il gran Condé s’intratteneva con Molière e La
Fontaine”, sul “Corriere della sera” il 24 marzo, “tra le vecchie enciclopedie circa
il duca d’Aumale, Henri d’Orléans, quartogenito di Louis-Philippe, che morì
alla fine dell’Ottocento in una tenuta siciliana a Partinico, lasciando tutto
all’Institut de France con la disposizione precisa di non spostare né prestate
niente. Governatore dell’Algeria e colonizzatore contro Abd el-Kader, fautore
dell’indipendenza italiana, consorte di Maria Carolina di Borbone (il cui nonno
era stato Ferdinando IV-I delle Due Sicilie, n.d.r.), collezionista,
bibliofilo, intrigante, deputato, presidente di corte marziale, esteta di raro
gusto, storico dei principi di Condé, e loro erede. Ma scartabellando, se si
cercano informazioni su quella tenuta siciliana di Zucco, si trova qualche
notizia solo su Luciano Zuccoli, I
lussuriosi, Il maleficio occulto,
La freccia nel fianco”.
Palazzo d’Orléans, oggi sede del governo della
Regione Sicilia, era il palazzo del duca d’Aumale. Ereditato dal padre Luigi Filippo,
che prima di diventare re di Francia aveva vissuto a lungo a Palermo. Morendo,
Luigi Filippo lo aveva lasciato alla moglie Maria Amelia, che lo cedette al figlio
in cambio di un vitalizio.
Il duca effettuò grandi lavori di restauro, e
ampliò il parco fino a 70 ettari. Che poi sono serviti alla rendita urbana,
degli immobiliaristi voraci.
Ciò che dice Arbasino è vero e non è vero. La
Regione Sicilia ha molte pagine dedicate al duca d’Aumale. Questo il ritratto
del duca agricoltore, “La fattoria dello Zucco”, di Laura Stassi. La passione
per l’agricoltura, che era del padre, il duca trasferì alla viticoltura. Nel
1853 comprò il feudo dello Zucco dai La Grua Talamanca, e l’azienda agricola da
don Vincenzo Grifeo duca di Floridia e principe di Partanna. Il feudo misurava
seimila ettari – una provincia. Il duca lo bonifico e lo dotò di un sistema
d’irrigazione, affidando i lavori all’ingegnere Giuseppe Adamo e alla sua morte
all’ingegnere agronomo Salvatore Galluzzo Caruso, rivitalizzò i vitigni locali,
catarratto, vernaccia e inzolia, altri se ne fece venire d’oltralpe, chiamò da
Bordeaux due specialisti di vinificazione, Mr. Rondeau e Mr. Martin, e produsse
per molti anni 30 mila ettolitri l’anno a mercato sicuro. Di vini imbottigliati
in proprio, come Zucco, da dessert, oppure venduti in Francia per irrobustire i
vini transalpini. Lo stabilimento era reputato in tutta Europa. René Bazin, che
fu allo Zucco nel 1891, ne scrisse in questi termini: “I famosi vigneti che
hanno diffuso nel mondo intero il nome dello Zucco…”.
Morto il duca, la storia s’accorcia. Nel 1920
venne la fillossera. Nel 1923 l’azienda fu venduta. Dopo la seconda guerra ne
fu dichiarata cessata l’attività.
Si capisce lo snobismo dei siciliani, che tutti
vorrebbero essere duchi.
Pietrangelo Buttafuoco ha scritto un articolo
di fuoco domenica 23 sul “Sole 24 Ore” contro la sua Sicilia. Ingiusto, ma non
è chi non concorderebbe. E questo è già metà del problema.
Di Crocetta, il presidente della Regione che
per molti rappresenta il rinnovamento, l’arcinemico Buttafuoco sbandiera varie
credibili imprese: nominare assessore alla Cultura, al posto di Battiato, la propria
segretaria, e alla Formazione una studentessa fuori corso. Credibili perché è
così che si esprime l’isola, buttandosi i massi sui piedi, dopo averli cercati
con cura.
Sciascia pretendeva che tutto (il marcio) viene
all’Italia dalla Sicilia. Quello che avviene in Sicilia, diceva, diventa
italiano l’anno dopo. Questo da un quarto di secolo non è più vero, da quando
Milano ha preso a gestire l’Italia. Ma l’antipolitica ancora no: è nata in
Sicilia, col pam, il politica-affari-mafia di Leoluca Orlando, politico rotto a
tutte le esperienze.
Tra i rimproveri di Buttafuoco a Crocetta è che
usa l’omosessualità come bandiera, mentre nessuno ci fa caso, e certamente non
gliela rimprovera. È vero, c’è molto da indagare sulla sessualità al Sud – due
presidenti di regione dichiaratamente gay su sette non ce li ha nessuno.
Rileggere Brancati in questa chiave sarebbe
sicuramente produttivo.
Gianfranco Micciché tenta di risuscitarsi con
le elezioni europee. Aveva favorito la vittoria di Crocetta contro il suo
partito, in odio al candidato. Poi era scomparso. Ora nessuno lo vuole, né Berlusconi,
con cui è cresciuto, né Alfano-Casini.
La Sicilia è penelopesca, le piace disfare
quello che ha fatto, se è venuto bene – ci gode.
leuzzi@antiit.eu
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