È
Calvino che inaugura la celebrazione dell’ospitalità sontuosa e dei banchetti
di cui resterà vittima tre anni più tardi Carlo Levi. Ma Calvino è più sgamato
di Levi: trova motivo di apprezzamento nel collettivismo, al teatro, allo
stadio, al concerto, alla balera, nell’uguaglianza, senza eccezioni
naturalmente, nei “piccolo naturalisti”, i pionieri che fanno gli esperimenti
di Lyssenko, e nel culto dei capi. Sì, il popolo russo si commuove per Lenin, e
anche per Stalin. Calvino, a differenza di
altri pellegrini illustri, non fa magniloquenza, predilige storie e particolari
minimi, “spontanei” come dice – ma allora nell’alveo del russismo di maniera,
con riferimenti costanti a Tolstòj e Dostoevskij quali si sono erroneamente
fantasticati, dalla passioni semplici seppure forti.
Sono, come prose giornalistiche da inviato speciale, quanto
di più sensibile e ricco, fantasioso, immaginativo, si possa leggere, delle
corrispondenze grate al lettore, precise, curiose, sempre interessanti. Ma si
sanno false. Ora e forse allora, forse sono state scritte false – che sarebbe
terribile, ma non è escluso. I pellegrini politici a Mosca vi esercitavano la
“vergogna di essere borghesi”, che Vittorini attizzava – mettendola
probabilmente in berlina – sul “Politecnico”. Nella coeva corrispondenza privata
Calvino, più
che sgamato, appare già blasé, come probabilmente era di natura,
disinvolto e sornione. Il “Diario di viaggio” potrebbe essere un tantino
cinico, insomma, tanto più per essere ben orchestrato.
Nel primo articolo per “Repubblica”, 16-17dicembre 1979,
titolato “Sono stato stalinista anch’io?”, se lo dirà da sé: “Questo modo non
monumentale di presentare l’URSS mi pareva il meno conformista. Invece la mia
vera colpa di stalinismo è stata proprio questo: per difendermi da una realtà
che non conoscevo, ma in qualche modo presentivo e a cui non volevo dare un
nome, collaboravo col mio linguaggio non ufficiale che all’ipocrisia ufficiale
presentava come sereno e sorridente ciò che era dramma e tensione e strazio.” Commenterà Paolo Amadio, studioso di Calvino
dromomane: “Egli era in effetti un buon propagandista, che sapeva sottolineare
i lati obbiettivamente positivi della situazione”.
Il ravvedimento sul “Diario di viaggio” era stato immediato,
sei anni dopo i fatti, pochi mesi dopo l’Ungheria, su “Cinema nuovo”, a proposito
del film “La caduta di Berlino” che a Mosca l’aveva commosso: ci aveva visto
“un esempio di stile popolare ricco d’ invenzione poetica, in opposizione al
grigiore del realismo socialista”, ci vede “un film profondamente reazionario,
e reazionario credo il suo linguaggio, in quanto ispirato a un modo
intellettualistico, paternalistico e folkloristico di considerare il «gusto
popolare». È stato proprio questo tipo di stilizzazione, forse, il vero corrispondente
linguistico dello «stalinismo»”.
Ma sempre con ambivalenza. c’è ambivalenza. Qualche mese
dopo lo “stalinismo” della lingua di legno, recensendo “Il dottor Živago”, in
“Pasternak e la rivoluzione”, lo definirà “un romanzo sovietico”. Sempre con
l’illusione della verginità: “Quei ragazzi del principio del secolo, Jura,
Gordon e Tonja, che fondano un triumvirato «basato sull’ apologia della purezza»,
non hanno forse lo stesso viso fresco e remoto dei Kosmomolnij tante volte
incontrati nei nostri viaggi di delegazione? Ci chiedevamo allora, vedendo l’
enorme riserva d’energie del popolo sovietico sottratta al vertiginoso affanno
(girare a vuoto di mode ma anche smania di scoperta, di prova, di verità) che
ha conosciuto negli ultimi quarant’anni la coscienza nell’occidente (nella
cultura, nelle arti, nella morale, nel costume), ci chiedevamo quali frutti
avrebbe dato quell’assidua ed esclusiva meditazione dei propri classici, nel
confronto con una lezione dei fatti quanto mai aspra e solenne e storicamente
nuova”. È il viaggio di un Candido?
“Olocausto
del pensiero” dirà questi viaggi e le loro corrispondenze Nello Ajello sornione
già quarant’anni fa. Ma Calvino ci credeva. A Michele Rago (la lettera è ora in
“I libri degli altri”) di ritorno da Mosca scrisse: “Ti dirò anche dell’Urss che è un’esperienza che m’ha fatto
molto bene, perché ti trovi davanti a un senso di «spontaneità», di «naturalità»
nuova, distantissima da questa nostra continua necessità di tensioni
volontaristiche a caldo e a freddo”. Calvino era a suo modo ben volontaristico,
l’ingenuità non è innocente.
Italo
Calvino, Diario di viaggio in Urss
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