La Bicamerale fallì nel
1998 sulla separazione delle carriera dei giudici, tra pubblici ministeri e
giudicanti. Lo dice D’Alema, che era il presidente del consiglio e la
Bicamerale aveva voluto, e nessuno lo smentisce. Tardi, dunque, ma è vero: i
giudici sono intoccabili, in ogni privilegio. Anche a costo di impedire l’ammodernamento
necessario delle istituzioni.
Nel 1998 c’era
Scalfaro, il presidente dei giudici gaglioffi, e la cosa si può spiegare così.
Ma né prima né dopo la cosa è stata possibile. Per la protervia minacciosa
della categoria. Per l’acquiescenza dei presidenti successivi, Ciampi e Napolitano.
Per il ricatto costante dei giudici alla vita associata in tutte le sue forme,
attraverso il ricatto dei media. Si dice che i media siano di Berlusconi, ma
quelli non contano, contano i media delle cui magagne proprietarie i giudici sono
i protettori, di De Benedetti, Bazoli, Agnelli-Elkann, la Confindustria.
Assistiamo sbigottiti,
mentre si tagliano d’imperio le retribuzioni dei manager, gente che produce, dopo
aspre selezioni, a retribuzioni dei giudici che arrivano al doppio di quella del
presidente della Repubblica, dopo carriere “a cieli aperti”, tutti promossi,
comunque. Uno scandalo doppio, perché si produce nel silenzio più totale dei media.
Triplice anzi: chi critica è un mafioso, un’associazione esterna i Carabinieri
gliela troveranno.
La categoria si fa
schermo dei giudici vittime delle mafie. Ma è altrettanto spregiudicata. Prima
avversò, non si dimentichi, con asprezza la Procura antimafia ideata da Falcone,
fino a metterlo nel mirino di Riina. Poi, assassinato Falcone, si appropriò dell’idea
dissolvendola in 136 Procure antimafia distrettuali, ognuna con un Procuratore
Capo e uno o più vice.
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