A
Sant’Arcangelo di Romagna un albanese uccide l’ex fidanzata, il giorno dopo
aver ucciso il nuovo fidanzato dell’ex fidanzata. Sant’Arcangelo di Romagna
s’era distinto al tempo della grande migrazione interna perché murava le case
disabitate, per evitare che famiglie meridionali vi si installassero. La
Romagna aveva bisogno di braccia ma non voleva i meridionali. I tempi sono
cambiati, o gli albanesi sono meglio, più di fiducia?
La
delazione al Nord in epoca fascista Mimmo Franzinelli, “Delatori”, mette tra
parentesi: “(Non fu questa un’invenzione del fascismo: nella prima metà
dell’Ottocento la incentivò la polizia austriaca che, coadiuvata segretamente
da un ampio apparato di cittadini, conseguì nel Lombardo-Veneto risultati
notevoli: dal controllo dei complotti mazziniani alla cattura di Oberdan e di
tanti altri patrioti o irredentisti traditi dai loro compagni)”.
Il
catenaccio nel calcio, invenzione italiana, è deplorevole. Mourinho invece lo
può praticare acclamato. Per questo anche super pagato, il più pagato al mondo.
Anche all’Inter, con Mourinho non era più catenaccio, benché la squadra fosse
italiana: basta il nome.
Le
identità nazionali sono trappole.
Quando Mourinho era all’Inter il catenaccio era
a volte criticato. Ora che lo fa “al Nord”, a Chelsea, è un delirio, di ammirazione.
Il
sarcasmo è sacro al calabrese. Antonio Polimeni, strillone a Roma, cieco, si
fece un paio d’anni di confino per aver strillato: “Mussolini ha vinto la
battaglia del grano e il pane costa più caro” (la storia è in Franzinelli,
“Delatori”, p. 80). Amnistiato dopo due anni nel 1937 per le cattive condizioni
idi salute, se ne fece dare altri tre con questa lettera di ringraziamento in
braille: “Grato e commosso di vostra bizzarra magnanimità, ringrazio vivamente,
sentitamente, l’eccellentissimo ministro per la malvagità con cui mi ha
trattato. Peraltro non ho la minima intenzione di negare l’esistenza del mio
reato, se pur si possa chiamare reato avere un’idea. Anarchico, idealista,
filosofo non significa essere un assassino”.
Il
cieco e povero Polimeni però si confronta onorevolmente, nella pagina a fronte
di Franzinelli, con Luigi Barzini. Il famoso giornalista, rinchiuso a Regina
Coeli per due giorni sulla base di una denuncia anonima, si profuse in
memoriali, appelli e attestati di fede fascista, quanti ne riuscì a scrivere
nelle 48 ore. Compreso dichiararsi spia del regime quando era corrispondente a
Londra.
Il feudalesimo
culturale
Si
può vedere il Sud, si vede viaggiandovi, come un albero sfrondato sradicato.
Uno di quegli ulivi secolari, per esempio, che giacciono rovesciati, enormi
ceppaie ancora vive ma troncate, che si aspetta si asciughino per farne
parquet, pipe e altri oggetti di legno duro. In che misura il Sud (non) è
vittima della sua modernizzazione sradicata? È il discorso vieto della
colonizzazione – lo sradicamento è il principio della colonizzazione – ma non
per questo da rifiutare, poiché è lo stato della cosa.
In
che misura il Sud non è vittima, per intendersi, dei suoi intellettuali
galantuomini tutti loggia e rivoluzione, della demolizione psicologica, della
modernità arrivata – nemmeno imposta - come la collana di vetri ai selvaggi. L’inoppugnabile
principio rivoluzionario (modernizzante) della tabula rasa lo ha lasciato e lo lascia nudo. Mentre le altre parti
del Paese hanno continuato a fare quello che sapevano fare, solo l’hanno fatto
meglio, più produttivamente. Hanno evoluto senza negarsi. Hanno costruito
mattone su mattone.
Ne
sono prova il la negazione o rifiuto (l’odio-di-sé), l’emigrazione, fisica o
spirituale, l’adozione indifesa di ogni altro modello culturale – fino alle
feste di celibato, o ai matrimoni interminabili in uso negli States. E il
rifiuto della storia. Per l’adozione di modelli comportamentali, progettuali, e
perfino storiografici sempre esterni, e necessariamente insufficienti -
ritardati, inadeguati, inadatti.
Si
prenda il feudalesimo. Non c’è storia del Sud che non ne attribuisce la
debolezza al feudalesimo. Per la routine
inerte di un’idea della storia pretesa scientifica (marxiana), che avrebbe
fatto inorridire il metodo critico (marxiano), ma pazienza. Il problema è che
al Sud non c’è altra storia: sinistra e destra, vecchi arnesi “marxiani e
vecchi arnesi antimarxiani spiegano congiunti e contriti che il Sud non si
muove perché è feudale. Mentre il contrario è vero. Cioè, non è che il Sud se
fosse feudale si muoverebbe, ma è che il Sud ha saltato l’esperienza feudale
per forme di sfruttamente para-coloniale, il fedecommesso, le guerre tribali
(dinastiche), la squalifica del meridionale. E quel poco di feudalesimo che lo
faceva vivere l’ha sradicato, o se l’è fatto sradicare, con l’unità.
Pasquale
Villari ne ebbe sentore nelle “Lettere meridionali”, 1862, subito a ridosso
dell’unità, quando denunciò l’abolizione dei privilegi ecclesiastici, che erano
la sola fonte di assistenza sociale e sanitaria per le masse povere, senza
alcuna soluzione alternativa.
La
tradizione era già forte e sarà inestirpabile, rivoluzionaria e quindi
incontestabile, laica seppure non repubblicana, di considerare ogni tradizione ancien régime, e quindi da sradicare,
per un individualismo presunto liberatore. Liberare le terre e i pascoli
comuni, appropriarsi la manomorta, su cui i poveri vivevano (la storia della
manomorta, se si facesse, darebbe molte sorprese), eliminare le confraternite,
un anello, per quanto debole, di socialità, eliminare gli usi civici e i
terreni comuni. Non è senza ragione che il nuovo, diffuso, e più robusto industrialismo
in Italia si abbia nelle regioni in cui meglio, o con più continuità, la
comunità rurale si è protetta, l’Emilia-Romagna e le Venezie..
L’economia
politica dell’illuminismo (Marx non c’entra), che ancora fa legge nella
storiografia, la quale al meglio è solo politica, accomuna agli antichi
privilegi signorili il bisogno delle masse di conservare il poco di cui
disponevano, condannandolo come un bisogno “irrazionale”, a carattere “reazionario”,
un forma di protezione di “vantaggi acquisiti”, fossero pure mezzi di
sussistenza – oggi lo condannerebbe come populismo
Il
feudalesimo è stato nell’illuminismo e la rivoluzione francese, ed è
nell’opinione, l’innesco “per la
proprietà assoluta” (Marc Bloch), che il Medio Evo invece aveva ignorato, e
l’acien régime, per quanto assolutista, ancora ignorava. Mentre non condannava
e non condanna l’assenteismo del fedecommesso, e anzi lo moltiplica nella
libera negoziazione dei titoli di proprietà.
Marx
non c’entra. Nei “diritti dell’uomo” Marx riconosceva “nient’altro che i
diritti del membro della società borghese, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo
separato dall’uomo e dalla comunità”-
Conservatore
e ancora reazionario il sanfedismo lo era. O il massismo, che invece non si
studia – il sanfedismo spogliato dei preti. Ma per una ragione: il popolo non
si rivoltava a una rivoluzione per ignoranza o cecità, si rivoltava in difesa
dei mezzi di sussistenza: i liberatori toglievano e non davano. È il meccanismo
del moderno imperialismo.
Mafie
Festival
delle Religioni a Firenze, tre giorni in sedi prestigiose, il Battistero, la
moschea, la sinagoga, l’auditorium Stensen dei gesuiti, la Loggia dei Lanzi in
Piazza della Signoria. Con lectio magistralis
di Paolo Mieli, dibattiti curati da Cesara Buonamici, Fiamma Nierenstein,
Alberto Castelvecchi, Maurizio Crippa, e concerto di Alessandro Preziosi,
Stefano di Battista, Andrea Rea, nessuno dei quali (forse Rea, o di Battista?)
è credente. A Sant’Onofrio di Vibo Valentia, invece, il vescovo proibisce la
cerimonia pasquale dell’Affruntata, per infiltrazioni mafiose tra i portatori
delle statuine. Sfidando lo sdegno dei fedeli.
Il
vescovo obbedisce alla Prefettura, che a Vibo Valentia commissaria un po’ tutti
i Comuni, per promuovere commissari i suoi impiegati, senza mai denunciare
nessuno. Per l’Affruntata la prefettura aveva previsto come portatori gli
addetti alla Protezione Civile, per beneficarli con lo straordinario festivo,
oltre la gita a Sant’Onofrio. Le statue sono minute e di gesso, non una gram
fatica per gli impiegati della Protezione Civile.
Di
Matteo, il Procuratore della Repubblica dello stato-mafia, e Ingroia ingiuriano
il professor Fiandaca, il loro mentore all’università, che si candida per il Pd
alle Europee. Di Matteo sberleffa anche Teresa Principato, capo della Procura
antimafia. La quale critica con asprezza il procuratore Capo Messineo. Tutto
questo a Palermo, scrive Andrea Marcenaro su “Panorama” – di passata, come
un fatto ordinario.
Il
Procuratore aggiunto dell’Antimania, Leonardo Agueci, sempre a Palermo, scrive
ancora Marcenaro, poche righe, ha parole di fuoco contro Ingroia. Ed è
rimbrottato a sua volta da Scarpinato, ora capo della Procura Generale e suo
maestro e mentore. Ma nella Procura antimafia non si trova a suo agio nemmeno
la sostituta Lia Sava, al punto che deve parlarne male in pubblico e in termini
irriferibili.
leuzzi@antiit.eu
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