La prima
emozione è imbattersi tra i dorsi cinerei di una libreria d’occasioni nel faccione
dell’amico, in uniforme da reporter. A vent’anni dalla morte, altra coincidenza,
appena sessantenne. La seconda è rivedere con lui il 1989, l’anno della caduta
del sovietismo. Evento dimenticato – i suoi venticinque anni si fanno passare
nel silenzio.
Un anno
prima del crollo, cioè della rinascita, a fine novembre 1989, la Cecoslovacchia
è un paese morto. E con essa Praga, la città più bella del mondo a giudizio del
nunzio apostolico Rodolfo, seconda metà del Trecento, che Buttitta cita in
esergo. Una serie di racconti, corrispondenze per la radio per lo più,
scandiscono dopo questa presa d’atto la fine dell’incubo. Che non è un sorpresa:
il regime era un guscio vuoto, di teste di legno.
Un
libro onesto, con alcuni camei d’autore. Da flâneur per eccellenza.
Forse per natura, come altri baarioti eccellenti dopo di Pietro, e prima di lui
il padre Ignazio.
Pietro
A. Buttitta Praga, primavera a novembre
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